venerdì 3 maggio 2019

Attenzione all’inquinamento domestico!

Alcuni consigli per scegliere i prodotti utili

Nel periodo primaverile, successivo alle festività pasquali e ai primi tepori, vengono effettuate le prime pulizie. Per poter cominciare, però, è necessario comprendere cosa sia l’inquinamento “indoor”. Questo tipo di inquinamento domestico, detto "indoor", è una forma di contaminazione caratteristica degli spazi chiusi e per affrontarla è necessario scegliere correttamente i materiali, quali prodotti domestici a basso impatto e adatti per pulire la superficie designata. 
L'AISE, International Association for Soaps, Detergents and Maintenance Products, consiglia di:
  • pulire regolarmente anche i luoghi non facilmente accessibili; 
  • leggere accuratamente l’etichetta; 
  • annotare informazioni utili riguardanti l’uso sicuro; 
  • disporre le stanze in modo tale che non esistano spazi difficili da raggiungere. 
Ciò che, senza ombra di dubbio, risulta più immediato è leggere sempre l’etichetta prima di utilizzare qualsiasi prodotto. L’AISE, infatti, rammenta che sono molteplici i fattori che possono condizionare la qualità dell’aria all’interno delle nostre abitazioni, quali ad esempio i prodotti utilizzati come detergenti, il nostro comportamento, la ventilazione, i mobili e i prodotti per edilizia, che producono composti organici volatili (VOC). Questi VOC non sono altro che i composti che respiriamo, che possono essere nocivi, tossici o semplici composti organici che influenzano l’aria delle nostre abitazioni e dei quali non sempre possiamo percepirne l’odore. Proprio per questo l’etichetta assume un ruolo importantissimo e imprescindibile: per conoscere tutte le informazioni necessarie. 

martedì 30 aprile 2019

Al Centro e al Sud mancano gli impianti per ottenere l’energia dai rifiuti

Ispra e Utilitalia: oggi la produzione va bene per 2,8 milioni di famiglie

Il "Rapporto sul recupero energetico da rifiuti in Italia" di Ispra, il centro studi del Ministero dell'Ambiente, e Utilitalia, la Federazione delle imprese di acqua, ambiente ed energia, presentato a Roma evidenzia che, nel 2017 in Italia, sono stati ricavati 7,6 megawatt di energia (dai termovalorizzatori e dal biometano del compostaggio) dai rifiuti. Questa quantità ha soddisfatto il fabbisogno di quasi 2,8 milioni di famiglie.

Gli impianti, però, scarseggiano e la maggior parte di quelli attivi è al Nord, mentre sia il Centro che il Sud ne possiedono davvero pochi.     Nel 2017, erano attivi 55 impianti di compostaggio dei rifiuti urbani, di cui 47 al Nord, 2 al Centro e 6 al Sud, che hanno trattato 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti, producendo fertilizzante compost e biometano. Secondo quanto previsto, in futuro verranno avviati altri 31 impianti.
Analizzando qualche dato in più, è possibile scoprire che i rifiuti organici, pari a 6,6 milioni di tonnellate, rappresentano il 41,2% della raccolta differenziata. Per la digestione anaerobica dei fanghi di depurazione, nel 2017 erano attivi 87 impianti, di cui 45 al Nord, 17 al Centro e 25 al Sud. Sempre in quell’anno, erano attivi       39 impianti di incenerimento, oggi scesi a 37, di cui 26 al Nord, 7 al Centro e 6 al Sud: al loro interno sono stati trattati 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti e l'85% delle scorie generate sono state avviate a riciclo. Inoltre, gli impianti di digestione anaerobica hanno creato 1,2 milioni di MWh e gli inceneritori 6,4 milioni di MWh, tra produzione elettrica e termica, in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie. Il 100% dell'energia creata dagli impianti di compostaggio e il 51% dell’energia generata dai termovalorizzatori è rinnovabile e non produce gas serra.

In ultimo, Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, afferma che “senza impianti di digestione anaerobica e senza inceneritori non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si potranno raggiungere i target UE". Infatti, l’UE ha previsto la necessità di scendere al di sotto del 10% della spazzatura in discarica entro il 2035, mentre oggi l’Italia è ferma al 23%. Secondo Brandolini servirebbe “una strategia nazionale per definire i fabbisogni che operi un riequilibrio a livello territoriale, in modo da limitare il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni, abbattendo le emissioni di CO2" dai camion.
foto tratta da Smea

venerdì 26 aprile 2019

L’Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati

Istat, il belpaese tra luci e ombre. Il tasso di abbandono è alto.

L’istruzione in Italia non gode di “sana e robusta costituzione”. Infatti, il “Rapporto SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia”, diffuso dall’Istat, evidenzia che l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione è aumentata in Italia negli ultimi due anni fermandosi al 14,5% nel 2018, e che sussistono tuttora evidenti differenze territoriali a svantaggio del Mezzogiorno d’Italia.
Le notizie negative, però, non finiscono qui. Infatti, l’Italia è ancora agli ultimi posti in Europa per numero di laureati, tasso di abbandono e competenze. In particolar modo, le competenze numeriche, alfabetiche, e per la lingua inglese sono molto esigue per alcuni gruppi di studenti. Questi risultati, alla luce della società odierna, nella quale sono necessarie sempre più competenze per riuscire ad emergere, risultano estremamente sconfortanti. Inoltre, il numero di ragazzi iscritti al terzo anno delle scuole secondarie di primo grado (scuole medie) che non raggiungono la sufficienza è del 34,4% per le competenze alfabetiche e del 40,1% per le competenze matematiche; diversamente accade per le ragazze, delle quali il 38,5% trova difficoltà per le competenze alfabetiche e il 41,7% per quelle matematiche. Purtroppo, anche il dato territoriale incide: Campania, Calabria e Sicilia sono le Regioni che presentano le percentuali più alte di studenti con scarse competenze alfabetiche e numeriche.
A livello nazionale, invece, solo il 27,9% dei giovani 30-34enni possiede un titolo terziario. In questo modo, l’obiettivo nazionale previsto da Europa 2020 (26-27%) è stato raggiunto, anche se il livello rimane di gran lunga peggiore della media europea e superiore soltanto a quello della Romania. Questo dato varia anche da genere a genere: tra le donne, la quota di 30-34enni laureate è del 34%, tra gli uomini del 21,7%.
In definitiva, non resta che considerare questi dati impietosi alla luce delle innumerevoli politiche che, nell’ultimo decennio, hanno stravolto il mondo scolastico e accademico. Difatti, sembra che ogni governo, che sia di centrodestra o centrosinistra, una volta eletto, debba a tutti costi modificare l’istruzione. Così facendo, è stato creato un caos di dimensioni ragguardevoli, senza che fosse possibile una programmazione seria e responsabile. Giunti a questo punto, servirebbe una progettazione a lungo termine e di ampio respiro, frutto di una tavola rotonda tra tutte le forze politiche, senza alcuno steccato ideologico o partitico. Infatti, questi ultimi nuocciono gravemente alla salute dell’istruzione.

martedì 23 aprile 2019

Entro due anni le discariche italiane saranno piene

La situazione è già tragica nel Mezzogiorno. Tra un anno anche il Centro avrà seri problemi.

Fise Assoambiente ha presentato a Roma un rapporto dal quale emerge che “entro due anni le discariche saranno sature in tutto il Paese”. A quanto pare, la situazione è già tragica al Mezzogiorno. In Italia, ad oggi, vengono prodotte 135 milioni di speciali e circa 30 di rifiuti urbani, di cui il 65% (92 milioni di tonnellate) e il 47% (15 milioni di tonnellate)" vengono avviate al riciclo.
Visti questi dati allarmanti, sembra necessario riconsiderare la gestione delle discariche. Infatti, per riuscire a raggiungere gli obiettivi fissati al 2035, il belpaese dovrà "riconsiderare la gestione delle discariche, facendo riferimento a impianti moderni e sostenibili a cui destinare esclusivamente le frazioni residuali trattate”. Oggi, continua il rapporto, la capacità residua ha un'autonomia limitata: tra circa 2 anni sarà esaurita la capienza delle discariche del nord del Paese, tra meno di un anno stesso destino toccherà al Centro, mentre diverse aree del Sud sono già oggi in emergenza".

Perciò, per rendere concreto e compiuto il modello di economia circolare, è necessario aumentare il riciclo e il recupero energetico per minimizzare l'uso delle discariche. Infatti, per raccogliere la sfida europea della Circular economy (65% di riciclo effettivo e 10% in discarica al 2035 per i rifiuti urbani), occorre aumentare la raccolta differenziata fino all’80% e la capacità di riciclo (+4 mln di tonnellate) del nostro Paese.

domenica 21 aprile 2019

Creare una holding per gestire l’immenso patrimonio dei beni confiscati alle mafie

Ecco l’idea del Presidente dell'Eurispes

Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes, durante il convegno “Beni confiscati: razionalizzazione delle procedure di gestione e destinazione”, organizzato presso il Circolo Antico Tiro a Volo a Roma e a cui hanno partecipato avvocati, magistrati e rappresentanti dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati, lancia un’idea notevole: creare una holding per gestire l’immenso patrimonio dei beni confiscati alle mafie che, secondo alcune stime, supererebbe i 30 miliardi di euro. Così facendo, verrebbe creata una sorta di “IRI 2.0” con la più alta concentrazione di capitale in Italia, maggiore di Assicurazioni Generali, Eni, Leonardo, Poste Italiane e Intesa San Paolo. Il numero uno dell’Eurispes ha affermato che "l’enorme patrimonio accumulato con le confische dei beni della criminalità organizzata e delle mafie deve essere messo a frutto e gestito con criteri manageriali, come si farebbe con una azienda o un insieme di aziende, facenti capo ad un unico soggetto finanziario". Una holding in tutto e per tutto.
Analizzando i dati forniti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, a 2018 concluso, nei sistemi informativi risultavano 65.502 beni confiscati e/o sequestrati, nell’ambito di procedimenti giudiziari effettuati su tutta la penisola. Sono immobili (31,158), mobili registrati (14.479), beni finanziari (11.544), aziende (4.759) e mobili (3.562).
Fara ha aggiunto che "non è sufficiente confiscare i beni ai criminali, ma è necessario evitare che la ricchezza che quei beni possono rappresentare per la collettività vada perduta". Per questo motivo, è d’uopo promuovere qualsiasi intervento volto a reinserire questi beni nel circolo virtuoso dell’economia legale, rendendoli davvero produttivi. In ultimo, il Presidente dell’Eurispes ha affermato che "l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ha svolto, negli ultimi anni, un lavoro enorme, considerando la scarsità di mezzi e del personale a disposizione" e che "il Decreto Sicurezza si è fatto carico di potenziare l'organico dell'Agenzia con l'assunzione di nuovo personale". 
Questa proposta, evidentemente rivoluzionaria e densa di significato, andrebbe tenuta seriamente in considerazione, in vista di una maggiore valorizzazione di tutti quei beni che, ogni anno, vengono incamerati dall'Agenzia Nazionale dei beni confiscati.

giovedì 18 aprile 2019

La bioeconomia equivale al 10% del Pil

Le startup si rivelano importantissime. Necessaria meno burocrazia.

La bioeconomia, cioè un’economia socialmente ed ecologicamente sostenibile, cresce in Italia, totalizzando due milioni di addetti e un valore della produzione di 328 miliardi di euro, ossia il 10,1% del Pil. Per mezzo di questi risultati, il belpaese riesce a competere a grandi livelli all’interno dell’Unione Europea, in particolare nei settori che utilizzano materie prime rinnovabili di origine biologica.
In questo panorama, le attrici protagoniste sono le startup innovative. Queste realtà, però, necessitano di maggiori investimenti e meno burocrazia per misurarsi su scala internazionale. La necessità di interventi di tal genere è evidenziata da “BioInItaly Investment Forum & Intesa Sanpaolo StartUp Initiative”, organizzata da Assobiotec-Federchimica, Intesa Sanpaolo Innovation Center e Cluster Nazionale della Chimica Verde Spring, per rendere possibile un incontro positivo con finanziatori.
Riccardo Palmisano, Presidente di Assobiotec-Federchimica, afferma che è “sempre più necessario insistere per creare un ambiente favorevole allo sviluppo della ricerca e dell'innovazione biotecnologica in Italia”. Inoltre, sempre secondo il numero uno di Assobiotec-Federchimica, è utile investire sulla crescita imprenditoriale dei ricercatori e sulle competenze di trasferimento tecnologico.
In ultimo, è d’uopo attuare operazioni di defiscalizzazione e di riduzione della burocrazia. Infatti, solo in questo modo, incentivi e innovazioni a parte, è possibile aumentare la competitività delle realtà italiane, esportando l’eccellenza del “made in Italy” in giro per il mondo.

mercoledì 17 aprile 2019

20 mila veicoli elettrici e 5 mila colonnine di ricarica

Secondo Motus-E è necessaria una visione industriale per la mobilità

Il segretario di Motus-E, l’associazione italiana per lo sviluppo della mobilità elettrica, Dino Marcozzi, durante l’evento annuale riguardo i principali interpreti del cambiamento, ha affermato che “in Italia il parco circolante elettrico è formato da circa 20 mila veicoli contro i 38 milioni a combustibili fossili, mentre le infrastrutture di ricarica sono poco più di 5.000". L’auspicio è che, per il 2019, vengano coinvolti nuovi attori della scena industriale italiana per dare quella spinta in più alla e-mobility, in modo tale da costruire un piano organico e una visione industriale.
Marcozzi ha evidenziato che “la crescita del settore ha alcuni importanti risvolti pratici di cui Motus-e si sta occupando in maniera attiva: è necessaria una riconversione dei modelli scolastici e accademici, per questo abbiamo lanciato una "call for startup" e una 'call for ideas', e abbiamo avviato dei percorsi accademici post-lauream ad hoc con le migliori realtà universitarie italiane, senza dimenticare la formazione dei tecnici meccatronici, vero e proprio bacino occupazionale del futuro”.
L’evento è stato inaugurato con la prima parte della giornata dedicata alle startup e ai progetti più innovativi della mobilità elettrica. L’obiettivo principale, infatti, è comprendere lo stato attuale della mobilità per crescere e migliorare sensibilmente. Motus-E, di concerto con Tree, ha gratificato le imprese che hanno messo a punto idee valide per la transizione verso un nuovo modo di intendere la mobilità sostenibile. UN altro importante obiettivo è far sì che il belpaese, grazie al sostegno delle PA, riesca a diventare un mercato di riferimento. 


martedì 16 aprile 2019

Aumentano gli spostamenti a emissioni zero

Presentato il primo Rapporto sulla mobilità sostenibile in Italia, Milano in testa.

Legambiente, nel primo rapporto sulla mobilità a emissioni zero dal nome “Le città elettriche”, realizzato in collaborazione con MotusE (associazione per la mobilità elettrica) e presentato a ExpoMove, la fiera sulla mobilità elettrica, nell'ambito del convegno “Mobilità elettrica nei comuni italiani”, realizzato insieme a Anci e Rai Pubblica Utilità, fotografa una realtà positiva. Infatti, aumentano gli spostamenti a zero emissioni, con mezzi elettrici, in bici o a piedi nelle città italiane e Milano guadagna la medaglia d’oro, con oltre il 52% di trasferimenti “sostenibili”.
Esaminati 104 capoluoghi di provincia, è risultato che il numero di infrastrutture destinate alla ricarica dei veicoli elettrici è cresciuto fino a quota 5507 colonnine per le auto (ricariche veloci, > 11 kW) e 2684 per i veicoli a due ruote (ricariche lente, 11 kW). Le grandi città del belpaese, anche se lontane dalla ottima performance di Milano, riescono a difendersi bene, cercando di garantire l’accessibilità a servizi quali la sharing mobility o i mezzi pubblici. A Bologna, l’accessibilità raggiunge il 40% mentre gli spostamenti a zero emissioni il 39%; a Torino, nonostante un’accessibilità del 37%, gli spostamenti totalizzano il 40%; a Napoli, l’accessibilità raggiunge il 34%, mentre i movimenti il 50%; a Genova, l’accessibilità è al 36% e gli spostamenti totalizzano il 39%; a Firenze, l’accessibilità il 26% e gli spostamenti il 17%; a Roma l’accessibilità il 27% e gli spostamenti il 20%.
Inoltre, il tasso di motorizzazione diminuisce in molte città italiane e il rapporto evidenzia che “Milano, in vent'anni, ha perso ben 100mila auto e guadagnato altrettanti abitanti, grazie ad ambiziose politiche locali e agli strumenti che ne conseguono, tra tutti l'attivazione dell'Area B (low emission zone) dopo il successo dell'Area C (Congestion). Legambiente aggiunge che “la mobilità a emissioni zero è capace di ridurre lo smog e affrontare la sfida imposta dai cambiamenti climatici, anche se servono politiche nazionali e di sistema, a partire dall'abbandono delle fonti fossili, per ridurre l'inquinamento e rendere più vivibili le nostre città".

Analizzando ancora i dati, è possibile scoprire che la Lombardia ha il maggior numero di prese per automobili, ben 1134 (raddoppiate rispetto alle 519 dello scorso anno) e 499 per le due ruote. Per quanto riguarda le due ruote, invece, è la Toscana a farla da padrona con 699 prese, mentre ne possiede 524 per le automobili. I risultati peggiori li conseguono Basilicata e Molise, la prima rispettivamente con 27 prese per auto e 7 per le due ruote, e il secondo con 8 e 5. 

In definitiva, rappresenta un vero segnale positivo il fatto che sempre più persone decidano di spostarsi in città con mezzi non inquinanti. Che siano biciclette, mezzi pubblici, a piedi o con la e-bike, è sempre un ottimo risultato. 

lunedì 15 aprile 2019

Best Packaging 2019, la gara degli imballaggi più ecologici

Ecco tantissime novità presenti alla Milano Design Week

Il problema degli imballaggi, spesso e volentieri realizzati in plastica, ha spinto diverse realtà industriali a ripiegare sui modelli “ecologici”. Infatti, i nuovi imballaggi, evoluti e sostenibili, sono realizzati con materiali compostabili, facilmente riciclabili o riciclati, molto più leggeri per consumare meno materie prime. L’obiettivo è utilizzare il mono materiale, progettare nuovamente la forma e ottimizzare le dimensioni, ricorrendo a materiali nuovi quali bio based o prodotti da fonti rinnovabili.

Il concorso Best Packaging, promosso dall’Istituto Italiano Imballaggio, presenta, per l’edizione di quest’anno, in collaborazione con CONAI, ben 23 soluzioni, che vantano come “plus” l’eco-sostenibilità. Gli imballaggi in gara riguardano il settore alimentare, i trasporti, la logistica e la cura personale. Le nuove proposte sono state esposte dal 9 al 14 aprile nel centro del Brera Design District presso Puorquoi Pas Design (Via Tito Speri 1).
Tra le innovazioni in gara è possibile trovare la Eco Sacco Barriera di Adercarta, in carta riciclabile e compostabile per pescherie e rosticcerie, cioè una carta semitrasparente con un finissimo strato di resina ecocompatibile che la impermeabilizza, mentre Bticino presenta l'astuccio per placche Living Now, in pasta di legno e cartoncino. Coop realizza vaschette con il coperchio per l’ortofrutta in plastica riciclata all'80%, mentre Davines propone i vasetti di plastica per cosmetici per capelli che sono realizzati in Pet riciclato per il 90%. Estathé presenta, per l'estate, la bottiglia di vetro con il tappo a strappo in alluminio, materiali facilmente riciclabili, mentre Kemiplast propone il suo Freshness Paper Bio, un imballaggio per alimenti in carta micro perforata, compostabile e biodegradabile. Nonno Nanni, per il suo stracchino, realizza una confezione totalmente compostabile, mentre l'espresso Coffe promotion Pack di Bioplast presenta imballaggi per caffè in mono materiale polipropilene, più semplice da riciclare rispetto ai poli materiali. In alternativa, la proposta di Cellografica Gerosa con il Pack Cafè, che riduce del 20% il peso dell’imballaggio e il consumo di materie prime. Parmalat e Tetrapak gareggiano con il progetto Green Box, che utilizza cartoni prodotti con cartone riciclato, e inoltre sempre Parmalat, assieme allo Scatolificio Sandra, ha ridotto il peso dei cartoni per lo yogurt, realizzati con materie prime riciclate. In ultimo, Polycart e Conad presentano le buste per mozzarella di bufala in Mater-bi, una bioplastica prodotta da Novamont, totalmente compostabile, mentre il Tubettificio Favia ha realizzato un tubetto per dentifricio in alluminio, con il tappo in plastica biodegradabile.       

Questa kermesse dà la possibilità a tutti di mettersi in gioco per contribuire ad una nuova sfida, cioè il superamento dell’imballaggio in plastica, di difficile smaltimento e altamente inquinante. Partendo da questi primi progetti, è d’uopo una presa di coscienza su larga scala, per far sì che anche altre realtà industriali decidano di “convertirsi” all’imballaggio ecologico. 

domenica 14 aprile 2019

Il calore di scarto industriale rende potabile l’acqua salata

Una soluzione al problema dell’acqua potabile proposta in Australia attraverso un impianto pilota

Il problema della scarsità di acqua potabile è sempre più evidente. Nel 2015, ad esempio, tre persone su dieci (https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/03/acqua-per-tutti-ancora-un-miraggio.html) non avevano accesso all’acqua potabile sicura, cioè poco più di due miliardi di persone. Alcuni ricercatori della Queensland University of Technology hanno ideato un sistema di filtrazione a basso costo, che opera attraverso una speciale membrana e utilizza il calore di scarto industriale o quello del sole per purificare l’acqua.
Gli studiosi sono stati capaci di filtrare e rendere abbastanza pura sia l’acqua salata che quella di un pozzo, in modo tale da utilizzarla per irrigare i campi o per dissetarsi. L’impianto pilota, approntato dalla squadra, consente di sperimentare la tecnologia che permetterebbe di lottare contro la siccità, usufruendo dell’acqua dei pozzi ad alto contenuto di sali. Graeme Millar, della Facoltà di scienza e ingegneria dell'università, nonché responsabile del progetto, ha affermato all’emittente radiofonica nazionale Abc che la tecnologia è stata approntata in questi quattro anni, grazie alla partecipazione di un team di ricercatori nipponici. Il fondamento del sistema è da rintracciare nella possibilità di riscaldare acqua salata o impura, cosicché venga prodotto vapore da trasferire attraverso la membrana.

La metafora utilizzata da Millar è emblematica, infatti afferma che “è come quando si fa una doccia calda, cioè si accumula vapore che si condensa sullo specchio freddo del bagno: l'acqua condensata è acqua pura.” L’impianto sperimentale presente a Brisbane tratterà quasi mille litri di acqua al giorno per sei mesi. Nel caso in cui dovesse rivelarsi un sistema efficace, verranno condotti ulteriori studi in altre località. Inoltre, Millar aggiunge che “se la tecnologia dovesse essere commercializzata, potrebbe essere installata presso siti industriali per usufruire del calore di scarto prodotto.” Inoltre, questo progetto potrebbe essere utilizzato anche in zone colpite dai disastri naturali, luoghi nei quali le forniture idriche non sono sempre garantite. Gli impianti sono portatili e piccoli, perciò possono entrare in un container e sono autoalimentati.
In definitiva, il sistema realizzato dagli studiosi australiani sembra efficace. La speranza è che possa rivelarsi utile, in modo tale da utilizzarlo su larga scala. 

giovedì 11 aprile 2019

La lotta al dissesto idrogeologico entra nel vivo

Approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il ddl “Cantiere Ambiente”. Soddisfazione del Ministro Costa, “Ora tempi rapidi e fondi certi”.


Il dissesto idrogeologico, ossia il complesso di modifiche morfologiche che hanno un impatto distruttivo per la degradazione del suolo, aveva bisogno di essere affrontato a viso aperto e così avverrà: infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, il disegno di legge denominato “Cantiere Ambiente”.  Il Ministro Costa, che si dichiara soddisfatto per il progetto, afferma che questa “è la risposta corposa, strutturata, sostanziale al dissesto idrogeologico”. Allo stato attuale non esiste una legge quadro in materia di dissesto idrogeologico, ma vi sono diverse disposizioni mal collegate e frammentate, contenute all’interno di leggi ordinarie o decreti-legge. L’obiettivo primario, quindi, è ottimizzare la normativa vigente. 
Il disegno di legge “CANTIERE AMBIENTE” concretizza i punti stabiliti dal DPCM del 20 febbraio 2019, il Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico “Proteggi Italia”. Il Ministro dell’Ambiente vorrebbe rendere effettivo e veloce il rapporto con le regioni e con le altre istituzioni operanti nel campo. Il secondo obiettivo, infatti, è rendere più semplice la procedura per la definizione e il finanziamento degli interventi, dimezzando i tempi di esame delle proposte d’azione e anticipando i pareri e i visti stabiliti per legge alla programmazione degli interventi.
A questo punto, il ddl passa alla Conferenza Stato Regioni per l’ultima approvazione e l’idea proposta è quella di aumentare le risorse a disposizione dei commissari di Governo per superare le difficoltà più evidenti, per un totale di 6,5 miliardi di euro per mettere in sicurezza il territorio e organizzare attività di prevenzione. Un’altra novità, oltre all’aumento dei fondi, è il cambio di priorità dei progetti: infatti, non sarà più possibile privilegiare i progetti incentrati su zone a maggior densità abitativa. In ultimo, nasce anche il “green manager”, cioè il referente, presso la PA, dell’implementazione ambientale, mentre presso il Ministero viene istituita una struttura tecnica operativa che assiste la fase progettuale, con la collaborazione di Palazzo Chigi.

In definitiva, “Cantiere Ambiente” contiene novità interessanti e funzionali alla lotta al dissesto idrogeologico. La strada tracciata è precisa e fa ben sperare, anche se non è detto che non vengano adottati eventuali accorgimenti per rendere ancora più adeguato l’intervento normativo. 

mercoledì 10 aprile 2019

Smog, già 17 città in pericolo nell’anno in corso

I risultati peggiori, secondo Legambiente, vengono registrati da Torino, Rovigo, Verona, Cremona e Milano.

L’Agenzia dell'Ue per l'ambiente (Eea), non molto tempo addietro, aveva manifestato la sua preoccupazione circa la situazione dell'Italia in merito al problema smog. Infatti, secondo le previsioni dell'ente, l'Italia avrebbe riportato un primato negativo all'interno dell'Ue e, a quanto pare, le previsioni non erano del tutto errate. Le città italiane ammorbate dallo smog, cioè quelle "fuorilegge" per i livelli di Pm10 (la soglia di polveri consentite per legge), sono ben 17 dall'inizio dell'anno. Queste notizie sconfortanti emergono dalla classifica "Mal'aria", redatta da Legambiente ed aggiornata al 31 marzo. Le città con una performance peggiore sono Torino con 52 superamenti della soglia consentita per la salute (a fronte dei 35 autorizzati), Rovigo con 50, Verona con 49, Cremona e Milano con 48.
Inoltre, il Veneto è la Regione nella quale tutti i capoluoghi di provincia hanno superato il limite, eccezion fatta per Belluno: ad esempio, Vicenza registra 47, Padova e Venezia 45. La classifica include anche Pavia (44), Alessandria (43), Frosinone (43), Treviso (43), Ferrara (41), Mantova (41), Asti (39), Brescia (37), Lodi (37).

Il dato interessante è che la quasi totalità delle città “fuorilegge” sia situata nel Centro-Nord del paese, a testimonianza che il problema sia maggiore in quelle zone. Nessuna città del Mezzogiorno rientra in questa classifica.
Secondo Legambiente, è “urgente costruire l'uscita dalla mobilità inquinante per contrastare i cambiamenti climatici, ridurre lo smog e rendere più vivibili le nostre città". Però, per far ciò, è necessario incentivare l’utilizzo dell’elettrico, ancora esoso per la maggior parte della popolazione e scomodo a causa dell’esigua presenza di colonnine per la ricarica. L’associazione ambientalista ha deciso di lanciare una petizione per chiedere al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di approvare al più presto il decreto che autorizza, nei Comuni, la circolazione della micro mobilità elettrica, inserito nella legge di bilancio ma rimasto ancora lettera morta.


martedì 9 aprile 2019

Coldiretti: addio ad una vigna su dieci

Nell’ultimo decennio risultanti non troppo rassicuranti


Un rapporto Coldiretti, basato su dati Istat e diffuso in occasione della presentazione delle innovazioni nel settore del vino, evidenzia che una vigna su dieci, nell’ultimo decennio, è scomparsa. Questo dato equivale a 80mila ettari in meno, cioè l’11% della superficie totale coltivata a vite. Le ultime rivoluzionarie tecniche di invecchiamento, le innovative soluzioni tecnologiche e le ultime esperienze di economia circolare in vigna, non sono riuscite ad evitare un risultato deludente.

Nell’arco di dieci anni, la superficie complessiva coltivata a vite è passata da 731mila ettari a 651 mila ettari (2018), con la scomparsa principalmente di vigneti vecchi e non più fruttuosi. Perciò, è stata avviata una operazione di rigenerazione che punta in particolar modo su varietà “green” o autoctone. Non dimentichiamoci i buoni risultati della Calabria nella coltivazione biologica della vite, con il 51% di superficie totale adibita a tale coltura. [https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/04/la-calabria-e-la-prima-regione-per-la.html]

A tal proposito, le Regioni hanno presentato moltissime domande per l’autorizzazione all’impianto di nuove vigne per l’anno in corso. Così tante richieste che, secondo quanto dice Coldiretti, è stato superato il “tetto” delle superfici disponibili, fissato a 6600 ettari. Coldiretti aggiunge che “le scelte delle aziende, molte delle quali giovani, per i nuovi impianti riflettono il profondo cambiamento nei consumi, con il ritorno dei vini autoctoni che nel giro di quale anno hanno scalzato quelli internazionali nelle preferenze di consumo degli italiani”. Ne è testimone il fatto che, nella classifica dei dieci vini con una maggiore crescita, sono presenti solo “bottiglie italiane”.

Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, ha sottolineato che “il profondo rinnovamento in atto conferma la vitalità di un’agricoltura che ha fatto dell’innovazione una delle armi per affermarsi sul mercato, della quale il vino rappresenta peraltro uno dei settori di punta”. Infatti, non bisogna dimenticarsi che il settore del vino vale 11 miliardi, per un totale di 2mila imprese industriali e con 50,4 milioni di ettolitri. L’Italia è ancora, per il quarto anno di seguito, il primo produttore mondiale e detiene il record dei vini certificati IG, ossia Dop e Igp, a quota 523, con la Francia soltanto seconda con 435. Pertanto, è necessario investire ancora di più nelle innovazioni, in modo tale che le imprese possano migliorare le loro performances. Lo Stato dovrebbe prestare maggiore attenzione alle esigenze dei coltivatori e farsi carico di condurre il settore ancora più in alto. 

lunedì 8 aprile 2019

La Calabria è la prima regione per la coltivazione di vite biologica

Buon risultato per la Calabria, prima in Italia

L’Industry Book 2019, stilato da UniCredit e riguardante le varie tendenze, dinamiche concorrenziali, prospettive di crescita del variopinto settore vitivinicolo nazionale, incorona la Calabria “Regina” per superficie coltivata a vite biologica, ben il 51% del totale. La qualità del settore enologico calabrese è confermata anche a fronte del 38% di produzione di vini Igp e Dop. 
Il resoconto annuale realizzato da UniCredit, diffuso poco prima dell’inaugurazione di Vinitaly 2019, evidenzia che in Calabria la superficie di vigne a coltivazione biologica ha superato i 4.400 ettari. È evidente che, di seguito alla crescente domanda di vini biologici, la Calabria abbia risposto presente, proseguendo l’espansione della coltivazione biologica della vite.

La regione è prima in Italia con il 51% della superficie coltivata a vite biologica, con una crescita del 5,2% tra 2016 e 2017, seguita dalla Basilicata con il 49%. Invece, per quanto concerne la qualità, nel 2018 quattro bottiglie su 10 (circa il 38% della produzione regionale) sono vini con marchi Dop o Igp, totalizzando quasi 143 mila ettolitri di prodotto. Di contro, lo scorso anno, la Calabria è giunta in sedicesima posizione per quanto concerne i livelli di produzione vinicola, con oltre 378 mila ettolitri, equivalenti allo 0,7% della produzione nazionale.

In definitiva, il risultato ottenuto dalla Calabria fa ben sperare. Questo traguardo dimostra l’importanza della valorizzazione dei prodotti tipici, quelli che rendono riconoscibile la Regione e che testimoniano la bontà del lavoro dei Calabresi. 

domenica 7 aprile 2019

Otto “big bags” di rifiuti e 92 kg di plastica raccolti nel Po

Il progetto pilota per la raccolta del “marine litter” è replicabile su altri fiumi.

La “battuta di pesca” organizzata sul fiume Po per quattro mesi, tra luglio e novembre 2018, ha riportato un risultato eccezionale: ben otto “big bags” pieni di rifiuti e 92 kg di plastica destinata ad essere riciclata. Per capire com’è stato possibile questo risultato, bisogna analizzare il meccanismo utilizzato per questa campagna. “Il Po d’Amare”, uno dei primi progetti di prevenzione dei rifiuti in mare, messo a punto dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile con la collaborazione con l’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po e con il patrocinio del Comune di Ferrara e dell’Aipo, prevedeva l’intercettazione dei rifiuti trasportati dal Fiume per mezzo di alcune barriere galleggianti. Secondo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, per contenere il fenomeno del marine litter è necessario agire direttamente sui fiumi. Infatti, i rifiuti marini derivano in gran parte (per l’80% all’incirca) dalla terraferma e si spingono fino al mare per mezzo degli gli scarichi urbani e dei fiumi, in piccola parte (per il 20% circa) derivano da attività di pesca e navigazione.

Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, sostiene che questo progetto è utile per “intercettare i rifiuti prima che raggiungano il mare e diventino così un grave problema ambientale”. Infatti, sappiamo bene le conseguenze che ciò può comportare [vedi https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/04/i-pesci-non-crescono-causa-delle.html]. Ronchi, però, aggiunge che “per passare dalla fase sperimentale del progetto ad una operativa, replicabile su altri fiumi italiani, sembrerebbe utile introdurre nella legislazione nazionale un riferimento chiaro e esplicito alla classificazione dei rifiuti presenti nei corsi d’acqua in modo da superare qualunque possibile incertezza interpretativa”.

In definitiva, il progetto sembra essere funzionale alla lotta contro l’inquinamento dei mari, anche se il problema andrebbe risolto alla radice. Speriamo che possa fornire un valido apporto al rafforzamento delle misure del piano d’azione nazionale per la prevenzione e la mitigazione dei rifiuti marini. 

sabato 6 aprile 2019

Lo stretto di Messina è una “discarica”

“Saremo ricordati come l'epoca della geo-monnezza”. Il fondale che divide Calabria e Sicilia è la “culla” di auto, materassi, pneumatici e quant’altro. 

La “striscia” di mare che separa il Continente dalla Trinacria è zeppa di rifiuti. Ma come è potuto succedere? La risposta è semplice ed intuitiva. Spesso, le fiumare vengono adoperate quali discariche, luoghi dove liberarsi di rifiuti ingombranti e non di rado pericolosi, che puntualmente giungono in mare in seguito alle piogge forti. I ricercatori del Cnr, in collaborazione con la Sapienza, hanno portato alla luce una situazione di degrado inimmaginabile, avvalendosi di alcune telecamere piazzate su un robot subacqueo Rov. In particolare, il quotidiano La Repubblica ha approfondito la questione, svelando la presenza di una cucina, con annesso mestolo e pentola, adagiata sul fondale.


Martina Pierdomenico, naturalista del Cnr, ha detto di aver trovato quattromila pezzi in tutto, tra quelli identificabili, e quasi la metà ha dimensioni fra 10 e 50 centimetri. Secondo quanto rivelato, la concentrazione maggiore è sul versante siciliano, con un record di 200 rifiuti in 10 metri. Anche se il problema rimane comunque di entrambe le sponde. 

Ma quali sono i materiali più presenti sul fondale? La plastica morbida, cioè le buste e i sacchetti di plastica, è la più presente, tanto da formare il 52,4% dei rifiuti totali; al secondo posto, vi è la plastica dura, che rappresenta il 26,1%; medaglia di bronzo, invece, per i materiali da costruzione, che rappresentano il 3,4%. A seguire vi sono anche i metalli (2,5%), i tessuti (2,4%), gli pneumatici (1,8%) e in quantità più esigue legname, vetro, materiali non ben identificati e attrezzatura per la pesca. Un’altra nota negativa è la presenza di un’auto sepolta a 510 m nel canale di San Gregorio (Reggio Calabria) o delle quattro piccole barche nel canale 1 di Tremestieri tra 580 e 520 m di profondità.

In definitiva, ciò che emerge non è per nulla confortante. I fondali sono diventati delle discariche, peraltro non sotto gli occhi di tutti e quindi ritenute “meno deprecabili”. La maggior parte di questi rifiuti giunge lì perché trasportata dai fiumi, dal vento o viene gettata volutamente in mare. Inoltre, il tratto siciliano presenta una quantità maggiore di rifiuti, probabilmente a causa della “maggiore pressione antropica” e della differente morfologia del fondale, che è meno ripido di quello calabrese e quindi più soggetto al rischio “deposito”.

venerdì 5 aprile 2019

Ecco il ddl Salvamare!

Il Ministro Costa dà il via alla lotta alla plastica

È ora di combattere a viso aperto contro la plastica. Per questo motivo il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge denominato “Salvamare”. Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa annuncia la notizia su Facebook, dicendo “ce l'abbiamo fatta, è iniziata la guerra alla plastica…siamo solo al primo passo, ma fondamentale”.


Quali sono i punti focali del ddl Salvamare? Promuovere l’economia circolare, risanare l'ecosistema marino, sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo la necessità di non abbandonare i rifiuti in mare, la corretta gestione dei rifiuti. Finalmente i pescatori non riceveranno sanzioni per la “pesca” accidentale dei rifiuti, ma potranno portarli negli impianti portuali di raccolta. Infatti, il ddl Salvamare si propone di disciplinare la gestione e il riciclo dei rifiuti rastrellati dai pescatori con le reti durante la pesca. Quindi, agli imprenditori ittici che riciclano i rifiuti pescati viene riconosciuta una certificazione ambientale, che testimonia l'impegno per la salvaguardia del mare. Inoltre, i rifiuti raccolto sono parificati a quelli prodotti dalle navi, poi conferiti in impianti ad hoc in porto come deposito temporaneo. Il Ministro dell’Ambiente, per favorire il riciclo della plastica, ha deciso di stabilire alcuni criteri da seguire per rendere facile la classificazione dei rifiuti.

Un primo passo è stato compiuto, anche se bisogna continuare su questo tracciato. La plastica infatti, come da me riportato in un precedente articolo https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/04/i-pesci-non-crescono-causa-delle.html, tende a scomporsi in pezzi piccolissimi, poi ingeriti da varie specie marine. In questo modo, da un lato gli animali provano una sensazione di “pseudo-sazietà”, che li spinge a non nutrirsi ulteriormente, dall’altro questi elementi entrano nella catena alimentari. Con effetti devastanti. 

martedì 2 aprile 2019

I pesci non crescono a causa delle microplastiche

La pseudo-sazietà dei pesci

Il pesce, a causa dello stomaco colmo di microplastiche che non riesce ad espellere, avverte una sensazione di sazietà. Così facendo, però, non mangia e non cresce. Questo è quanto rivela Martina Capriotti, una biologa marina, nel corso della tavola rotonda dal nome “Le frontiere delle sostenibilità”, organizzata a Genova in occasione dell’assemblea dell’Associazione Nazionale Cooperative di consumatori. Il fenomeno della pseudo-sazietà, quindi, non è che l’ennesimo danno che le microplastiche causano alla flora e alla fauna. 
Il problema è particolarmente evidente nell’Adriatico, dove stanno nascendo isole di plastica. Infatti, la biologa afferma che “le ricerche ci confermano come il Mare Adriatico sia sicuramente molto vulnerabile alle micro plastiche, per la sua conformazione semi chiusa, la bassa profondità nella parte settentrionale, l'alta antropizzazione delle coste e dei fiumi e il ridotto ricircolo dell'acqua”. Esistono due correnti costiere, una verso Nord e una verso Sud, e al di fuori di queste la plastica tende ad accumularsi con i danni sopracitati. Il problema è che le microplastiche vengono ingerite per sbaglio, confuse per plancton o perché sulla superficie vi sono micro alghe o batteri di cui i pesci sono ghiotti.
Qual è la soluzione? Iniziare a usare sempre meno plastica. Ecco un piccolo promemoria  https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/02/come-ridurre-il-consumo-di-plastica.html


lunedì 1 aprile 2019

Tre miliardi in tre anni per contrastare la dipendenza dalle fonti fossili

Il sottosegretario di Stato all’Ambiente, l’on. Salvatore Micillo, ha inaugurato la XII edizione di EnergyMed con una dichiarazione che dà speranza “le rinnovabili sono il futuro, il Ministero dell’Ambiente e il Mise stanno investendo circa 3 miliardi nei prossimi tre anni perché tante aziende possano avere respiro e si possa parlare di green economy non solo sulla carta”. 
La cornice che ha fatto da sfondo a questa comunicazione è una mostra-convegno, la più importante per quanto concerne le modernità e le esperienze in quanto a rinnovabili, mobilità sostenibile, efficienza energetica, e riciclo. Micillo, in questa occasione, ha evidenziato la necessità di un confronto tra enti locali, imprese, associazioni e tecnici, in modo tale da optare definitivamente per una svolta sostenibile. “La riconversione ad un’economia verde del nostro Paese non è più rinviabile”, ha affermato, “e l’economia circolare è un’opportunità economica, ambientale e sociale che va messa in atto concretamente a partire da ora”.
Quanto affermato dal Sottosegretario è più che condivisibile. Infatti, stando ad alcuni dati molto “eloquenti”, un’azienda italiana su quattro ha fatto investimenti green negli ultimi cinque anni. Un buon trend. Inoltre, 345.000 imprese, nell’intervallo 2014-2017, hanno investito in prodotti e tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. Non credete che i dati non siano “pane”: difatti, con questi passi avanti i “green jobs” hanno raggiunto quota tre milioni. Insomma, le premesse per migliorare esistono e la volontà sembra palesarsi. Attendiamo i fatti!

domenica 31 marzo 2019

Gli italiani e l'orto domestico: il 62% ne ha uno. 


Una nuova tendenza sta spopolando nel belpaese: l'orto in casa. Coldiretti e Ixè, dopo aver raccolto alcuni dati, rivelano che ben 6 italiani su 10 coltivano qualche ortaggio o frutto sul proprio balcone, in giardino o nella terrazza. Questa moda, in base alle informazioni reperite, è in crescita del 6,3%, con 174 milioni di metri quadrati coltivati.


Con un budget di partenza esiguo è possibile, in poco tempo, raggiungere risultati notevoli e saporiti: insalate, fagiolini, basilico, pomodori e tanti altri vegetali ugualmente apprezzati. Ad esempio, con un modulo verticale di 1,10 mq si possono avere fino a 48 piantine coltivate. E quanto costa realizzare un orto a terra di 20 mq? Secondo Coldiretti bisogna spendere almeno 250 euro tra terriccio, vasi, piantine attrezzi, concime, reti e sostegni. Inoltre, il costo quest’anno può vantare il bonus verde del 36%, cioè raggiunta una spesa massima di 5mila euro è possibile ricevere la detrazione fiscale sulle spese per l'organizzazione di giardini e terrazzi. In definitiva, curare e coltivare frutta e verdura a "metro-zero", che sia sul terrazzo, sul balcone o in giardino, non è solo utile per risparmiare sugli acquisti quotidiani, ma è anche un'occasione per rinforzare il nostro rapporto con la natura e scoprire, forse, un pollice verde finora sconosciuto. E non dimentichiamoci che, così facendo, sapremo sempre ciò che finisce nel nostro piatto.


venerdì 29 marzo 2019

Avvenire: qual è la città ideale?

Avvenire, in collaborazione con la Scuola di economia civile e il supporto di Federcasse, realizza una classifica in base a diversi indicatori di qualità della vita. Medaglia d’oro a Bolzano, argento a Trento e bronzo a Pordenone.

Quali sono le caratteristiche che deve possedere la “città ideale? Avvenire, per realizzare la sua classifica del “Ben-vivere nei territori”, analizza in particolare (ma non solamente) la ricchezza pro-capite, lo sviluppo economico e le opportunità occupazionali, vere armi a doppio taglio se non adoperate adeguatamente. L’attività di analisi è partita da alcuni domini all’interno dei quali sono stati selezionati gli indicatori specifici, quali salute, impegno civile, ambiente turismo e cultura, demografia e famiglia, servizi alla persona, lavoro, legalità e sicurezza, capitale umano, accoglienza, inclusione economica.

La classifica vede in cima le province autonome di Bolzano e Trento, seguite da Pordenone, Firenze, Parma, Pisa, Milano, Bologna, Gorizia e Udine. Al di là della top ten, urge una riflessione a riguardo. In primis, sembra che i centri medi offrano una qualità complessiva migliore, derivante verosimilmente da condizioni ambientali più favorevoli. In secondo luogo, è evidente che il Sud abbia ancora problemi, essendo concentrato nella seconda parte della classifica. Sfortunatamente, agli ultimi posti troviamo Reggio Calabria, Vibo Valentia, Napoli e Crotone. Le criticità derivano sia da un profondo divario economico e occupazionale che da carenti servizi pubblici e da un capitale umano più povero. In relazione a quest’ultimo dato, ad esempio, Bologna possiede il 37,5% di giovani laureati e il 70% di diplomati, mentre la provincia di Barletta-Andria possiede il 14,5% di laureati e il 40% di diplomati. Dati di cui prendere atto e da cui ripartire.

giovedì 28 marzo 2019

Che risultati il cicloturismo in Italia, +41% in cinque anni!

8,4% dei turisti pedala, quasi 7,6 miliardi di fatturato annuo


Cosa c’è di meglio di una vacanza su due ruote attraverso il belpaese? Niente, e il primo rapporto dal titolo "Cicloturismo e cicloturisti in Italia", realizzato da Isnart-Unioncamere in collaborazione con Legambiente e presentato al BikeSummit 2019, lo dimostra: i cicloturisti sono aumentati del 41% in un lustro. Le presenze cicloturistiche conteggiate nel 2018, nelle abitazioni e nelle strutture preposte, totalizzano 77,6 milioni, e l'8,4% dell'intero movimento turistico in Italia, con oltre 6 milioni di persone. Il cicloturismo genera un guadagno economico di circa 7,6 miliardi di euro all'anno, numeri che fanno aumentare il valore attuale del PIB (Prodotto Interno Bici) a quasi 12 miliardi di euro. Il business in questione non riguarda solo “strettamente” il turismo, ma comprende anche la produzione di bici e accessori e l’erogazione dei servizi utili. Senza contare i “veri” vantaggi del ciclo turismo, ossia minor inquinamento e un corpo più allenato, meno soggetto a malattie derivanti dalla sedentarietà.

Aggiungendo qualche altro dato, è possibile scoprire che i turisti che ogni anno compiono il loro intero percorso in Italia sono 1,85 milioni, mentre sono circa 4,18 milioni coloro che utilizzano la bicicletta a destinazione. Inoltre, i ciclisti urbani, cioè coloro che adoperano quotidianamente la bicicletta sui percorsi casa-lavoro, sono circa 700.000. Ma quali sono le mete più ambiti dai cicloturisti? Trentino, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana su tutti. Le regioni di partenza, invece, sono Campania (quasi un quinto viene da qui), seguita da Lombardia e Lazio.

In ultimo, il Governo gialloverde ha confermato la realizzazione delle ciclovie, con lo stanziamento di 361,78 milioni di euro per la nascita del Sistema nazionale delle ciclovie turistiche.