La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte di Strasburgo) ha
emesso la sentenza relativa ai procedimenti n.54414/13 (F. Cordella ed altri
conto Italia) e 54264/15 e pesa come un macigno sull’Italia.
Ma partiamo
dal principio. L’iniziativa, nel 2003, era stata promossa dalla dott.ssa D.
Spera per conto di cinquantadue tarantini, servendosi della difesa dell’avv. S.
Maggio e successivamente anche dell’avv. L. La Porta. In un secondo momento,
per la precisione nel 2015, era stato presentato il medesimo ricorso da altri
centrotrenta tarantini. Alla luce delle due iniziative la Corte aveva deciso di
unire le due istanze. I centottanta cittadini di Taranto hanno accusato lo Stato italiano
di non aver tutelato né la salute dei cittadini né l’ambiente circostante,
precisando che le disposizioni normative adottate hanno avuto il solo obiettivo
di tutelare l’Ilva. Alla Corte Europea è stato chiesto di riconoscere, ai
tarantini, il loro diritto di vivere in un ambiente salubre. Con la decisione
presa, la Prima Sezione della Corte ha riconosciuto la giusta richiesta dei
tarantini, dichiarando la violazione degli artt.8 e 13 da parte dell’Italia e
la condanna a risarcire a ciascuno dei ricorrenti con 5mila euro. Al di là di
questo, però, la Corte dei Diritti dell’Uomo condanna “moralmente “la condotta
dei politici italiani. La
Corte di Strasburgo ha stabilito che “il persistente inquinamento causato dalle emissioni
dell’Ilva ha messo in pericolo la salute dell’intera popolazione, che vive
nell’area a rischio” e, inoltre, aggiunge che “le
autorità nazionali non hanno preso tutte le misure necessarie per proteggere
efficacemente il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti”. In più, la Corte insiste affinché le misure
per assicurare la protezione dell’ambiente e della salute vengano attuate il
prima possibile.
Va fatto notare che nella decisione si sottolinea che “i cittadini non hanno avuto modo di ricorrere
davanti a un giudice italiano contro l’impossibilità di ottenere misure anti
inquinamento, e che quindi è stato violato il loro diritto a un ricorso
effettivo”. In generale, i giudici non hanno ritenuto necessario
far cessare l’attività dell’Ilva, limitandosi a insistere sulla necessità di un
piano antiinquinamento. I giudici hanno
anche criticato
la “immunità amministrativa e penale” concessa per legge “alle persone incaricate di
garantire il rispetto delle prescrizioni in materia ambientale”,
cioè gli acquirenti di Ilva e gli amministratori straordinari. La sentenza
diviene definitiva se entro tre mesi le parti non ricorrano.
Aspettiamo di conoscere gli sviluppi della questione, sperando in una decisione positiva per tutto l'ambiente.
(foto tratta da www.ilpost.it)
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