domenica 31 marzo 2019

Gli italiani e l'orto domestico: il 62% ne ha uno. 


Una nuova tendenza sta spopolando nel belpaese: l'orto in casa. Coldiretti e Ixè, dopo aver raccolto alcuni dati, rivelano che ben 6 italiani su 10 coltivano qualche ortaggio o frutto sul proprio balcone, in giardino o nella terrazza. Questa moda, in base alle informazioni reperite, è in crescita del 6,3%, con 174 milioni di metri quadrati coltivati.


Con un budget di partenza esiguo è possibile, in poco tempo, raggiungere risultati notevoli e saporiti: insalate, fagiolini, basilico, pomodori e tanti altri vegetali ugualmente apprezzati. Ad esempio, con un modulo verticale di 1,10 mq si possono avere fino a 48 piantine coltivate. E quanto costa realizzare un orto a terra di 20 mq? Secondo Coldiretti bisogna spendere almeno 250 euro tra terriccio, vasi, piantine attrezzi, concime, reti e sostegni. Inoltre, il costo quest’anno può vantare il bonus verde del 36%, cioè raggiunta una spesa massima di 5mila euro è possibile ricevere la detrazione fiscale sulle spese per l'organizzazione di giardini e terrazzi. In definitiva, curare e coltivare frutta e verdura a "metro-zero", che sia sul terrazzo, sul balcone o in giardino, non è solo utile per risparmiare sugli acquisti quotidiani, ma è anche un'occasione per rinforzare il nostro rapporto con la natura e scoprire, forse, un pollice verde finora sconosciuto. E non dimentichiamoci che, così facendo, sapremo sempre ciò che finisce nel nostro piatto.


venerdì 29 marzo 2019

Avvenire: qual è la città ideale?

Avvenire, in collaborazione con la Scuola di economia civile e il supporto di Federcasse, realizza una classifica in base a diversi indicatori di qualità della vita. Medaglia d’oro a Bolzano, argento a Trento e bronzo a Pordenone.

Quali sono le caratteristiche che deve possedere la “città ideale? Avvenire, per realizzare la sua classifica del “Ben-vivere nei territori”, analizza in particolare (ma non solamente) la ricchezza pro-capite, lo sviluppo economico e le opportunità occupazionali, vere armi a doppio taglio se non adoperate adeguatamente. L’attività di analisi è partita da alcuni domini all’interno dei quali sono stati selezionati gli indicatori specifici, quali salute, impegno civile, ambiente turismo e cultura, demografia e famiglia, servizi alla persona, lavoro, legalità e sicurezza, capitale umano, accoglienza, inclusione economica.

La classifica vede in cima le province autonome di Bolzano e Trento, seguite da Pordenone, Firenze, Parma, Pisa, Milano, Bologna, Gorizia e Udine. Al di là della top ten, urge una riflessione a riguardo. In primis, sembra che i centri medi offrano una qualità complessiva migliore, derivante verosimilmente da condizioni ambientali più favorevoli. In secondo luogo, è evidente che il Sud abbia ancora problemi, essendo concentrato nella seconda parte della classifica. Sfortunatamente, agli ultimi posti troviamo Reggio Calabria, Vibo Valentia, Napoli e Crotone. Le criticità derivano sia da un profondo divario economico e occupazionale che da carenti servizi pubblici e da un capitale umano più povero. In relazione a quest’ultimo dato, ad esempio, Bologna possiede il 37,5% di giovani laureati e il 70% di diplomati, mentre la provincia di Barletta-Andria possiede il 14,5% di laureati e il 40% di diplomati. Dati di cui prendere atto e da cui ripartire.

giovedì 28 marzo 2019

Che risultati il cicloturismo in Italia, +41% in cinque anni!

8,4% dei turisti pedala, quasi 7,6 miliardi di fatturato annuo


Cosa c’è di meglio di una vacanza su due ruote attraverso il belpaese? Niente, e il primo rapporto dal titolo "Cicloturismo e cicloturisti in Italia", realizzato da Isnart-Unioncamere in collaborazione con Legambiente e presentato al BikeSummit 2019, lo dimostra: i cicloturisti sono aumentati del 41% in un lustro. Le presenze cicloturistiche conteggiate nel 2018, nelle abitazioni e nelle strutture preposte, totalizzano 77,6 milioni, e l'8,4% dell'intero movimento turistico in Italia, con oltre 6 milioni di persone. Il cicloturismo genera un guadagno economico di circa 7,6 miliardi di euro all'anno, numeri che fanno aumentare il valore attuale del PIB (Prodotto Interno Bici) a quasi 12 miliardi di euro. Il business in questione non riguarda solo “strettamente” il turismo, ma comprende anche la produzione di bici e accessori e l’erogazione dei servizi utili. Senza contare i “veri” vantaggi del ciclo turismo, ossia minor inquinamento e un corpo più allenato, meno soggetto a malattie derivanti dalla sedentarietà.

Aggiungendo qualche altro dato, è possibile scoprire che i turisti che ogni anno compiono il loro intero percorso in Italia sono 1,85 milioni, mentre sono circa 4,18 milioni coloro che utilizzano la bicicletta a destinazione. Inoltre, i ciclisti urbani, cioè coloro che adoperano quotidianamente la bicicletta sui percorsi casa-lavoro, sono circa 700.000. Ma quali sono le mete più ambiti dai cicloturisti? Trentino, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana su tutti. Le regioni di partenza, invece, sono Campania (quasi un quinto viene da qui), seguita da Lombardia e Lazio.

In ultimo, il Governo gialloverde ha confermato la realizzazione delle ciclovie, con lo stanziamento di 361,78 milioni di euro per la nascita del Sistema nazionale delle ciclovie turistiche.

mercoledì 27 marzo 2019

Un passo avanti nella lotta all’amianto

Oggi, nel 27° anniversario del provvedimento che, nel 1992, decretò la messa al bando dell’amianto nel nostro Paese, il Ministro Costa istituisce un gruppo di lavoro a riguardo.

“Attraverso gli atti costruiamo i mattoncini che ci servono per costruire un futuro migliore”. Così il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa esordisce oggi, in diretta video, mentre si accinge a firmare un decreto per mezzo del quale nasce un gruppo di lavoro, con finalità di studio per una proposta normativa “innovativa” che riguardi il settore dell’amianto. Costa afferma che in Italia è possibile trovare ben 32 milioni di tonnellate di amianto ancora da gestire e 2400 istituti scolastici che presentano l’amianto. Senza tener conto del materiale abbandonato e a volte bruciato in giro per le città. Ad oggi, è stato bonificato meno di un quarto dell’amianto presente nelle nostre dimore, nelle imprese e negli uffici, mentre questo vero e proprio veleno miete oltre tremila vittime l’anno. 


Il gruppo di lavoro istituito dal Ministro punta alla costruzione di un’ossatura normativa che sia in grado di riorganizzare la gestione dell’absesto, e si avvale della competenza (gratuita) del dott. Raffaele Guariniello, designato Presidente da Costa. Il magistrato, assieme a periti e giuristi, avrà tre mesi di tempo (scadenza prefissata per giugno) per portare a termine questa proposta di legge, in modo tale che venga presentata in breve tempo all’attenzione del Ministero della Salute e del Ministero del Lavoro.

Di contro, Cgil, Cisl e Uil, chiedono che venga riattivata la cabina di regia presso la presidenza del Consiglio, così da velocizzare i progetti delle bonifiche, perfezionare la tutela sanitaria e curare e risarcire le vittime. Per i sindacati, la strage infinita del “killer silenzioso” può essere arrestata solo assicurando una concreta bonifica dell’amianto negli ambienti di vita. Inoltre, sostengono che “bisogna risarcire dignitosamente le vittime innocenti, sull’esempio del modello francese di sicurezza sociale”. In ultimo, i sindacati rilevano la necessità di rafforzare le strutture dei centri operativi regionali per la rilevazione dei tumori causati dall’amianto, cosicché sia più facile individuare le causa delle patologie.

Un quarto di morti premature a causa dell’inquinamento

L’Onu rivela dati preoccupanti. Bisogna reagire.

Il Global Environment Outlook (Geo), opera delle Nazioni Unite, rivela che un quarto delle morti premature nel mondo è causato dall'inquinamento prodotto dagli uomini. Secondo quanto riportato nel resoconto, l'inquinamento, lo spreco di cibo, il consumo eccessivo, l’accelerazione della distruzione degli ecosistemi causano malattie, incrementano il divario tra stati ricchi e poveri e aumentano la fame nel mondo.

Analizziamo alcuni dati. Le emissioni di gas serra sono ancora troppo alte (https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/03/e-ora-di-ridurre-le-emissioni-di-gas.html) e il clima non accenna a migliorare: allagamenti e siccità mietono vittime. Il rapporto Geo realizza una lista di emergenze sanitarie collegate all'inquinamento, evidenziando che le condizioni ambientali “causano approssimativamente il 25% delle malattie e della mortalità globali”. Ad esempio, nel solo 2015 circa 9 milioni di decessi. Ma il peggio non finisce qui. Infatti, l’assenza di acqua potabile decreta la morte annuale di 1,4 milioni di persone, a causa di malattie come la diarrea. (Ulteriori informazioni qui https://avapertisverbis.blogspot.com/2019/03/acqua-per-tutti-ancora-un-miraggio.html). Inoltre, le sostanze chimiche presenti nei mari causano effetti potenzialmente dannosi per più di una generazione.
In ultimo, il rapporto rivela che l'inquinamento atmosferico causa ogni anno tra 6 e 7 milioni di morti, molti più dei 180 mila morti ogni anno per le guerre (dato 2015, Il Fatto Quotidiano). È evidente che sarebbero opportune (e urgenti) azioni volte a modificare la situazione: infatti il dossier, con una nota allegata, si rivolge ai ai leader mondiali, chiedendo una “decontaminazione” del comportamento umano. Ad oggi, secondo l’Onu, la situazione sarebbe insostenibile.

martedì 26 marzo 2019

In Italia molte aree a rischio a causa dello smog

Il primato italiano negativo tra i Paesi Ue.

L'Italia è il paese dell'Unione Europea con il più alto numero di aree a rischio a causa dello smog e ondate di calore. Questo dato poco confortante emerge dal primo primo rapporto dell'Agenzia dell'Ue per l'ambiente (Eea) che prende in esame gli indicatori ambientali, socio demografici e sulla salute. Il resoconto mette in luce le persistenti diseguaglianze economiche e sociali e l'effetto negativo che hanno sull'inquinamento atmosferico e acustico, in particolar modo nei paesi del Sud e dell'Est Europa. Il rischio maggiore è concentrato nelle aree in cui il livello di istruzione e il reddito sono inferiori alla media europea, con tassi di disoccupazione molto alti. Alcune di queste città, con livelli di disoccupazione elevati ed un'evidente esposizione al particolato Pm10, sono Nicosia (Cipro), Torino e Stara Zagora (Bulgaria). 

Il belpaese, assieme alla Slovacchia e alla Grecia, presenta molti territori in cui i fattori sociali si intrecciano con i rischi ambientali. Nella Penisola, infatti, è possibile riscontrare il maggior numero di aree in Europa esposte a tre tipi diversi di inquinamento atmosferico, da particolato, biossido di azoto e ozono, e alle ondate di calore. Inoltre, è presente, contemporaneamente, un chiaro problema di smog, proprio delle aree urbane con reddito pro-capite inferiore alla media europea (Pm10 e ozono) e delle regioni più sviluppate (biossido di azoto). In ultimo, le condizioni economiche e sociali influiscono chiaramente sulla capacità di affrontare fenomeni meteo eccezionali. È d'uopo intervenire al più presto con interventi mirati per rendere più salubre il nostro clima, senza indugiare oltre.


domenica 24 marzo 2019

L’elettrico in Italia non decolla


Auto elettriche, Milano è la città migliore. Italia indietro in Europa.


Posti di ricarica adeguati, agevolazioni fiscali quali sosta gratuita e transito in zone limitate al traffico e una vasta gamma di servizi: ecco alcune caratteristiche che deve possedere una città per favorire l’utilizzo di auto elettriche. Purtroppo, il belpaese non è all’avanguardia in questo settore, che invece incorona la Norvegia regina incontrastata.

Partiamo dai risultati positivi. In Italia la mobilità elettrica, cioè la circolazione su automobili che utilizzano come fonte di energia primaria l’energia chimica, contenuta in una o più batterie ricaricabili, trova terreno fertilissimo nel capoluogo lombardo, Milano. Infatti, secondo una classifica redatta dal sito “Alla Carica. Generation Electricity”, sostenuto da un bando del Ministero dell'Ambiente per l'informazione e la sensibilizzazione dei “millennials” riguardo le smart city, l’auto elettrica privata raggiunge quota 811 (dato fermo al 31 dicembre 2017) e le colonnine di ricarica diventeranno mille il prossimo anno. Inoltre, dal 2020 verranno acquistati soltanto bus elettrici, un passo avanti tangibile verso una mobilità sostenibile.

A seguire, dietro al capoluogo meneghino, è possibile trovare Torino, particolarmente virtuosa per quanto concerne le agevolazioni sulla zona a traffico limitato e per il servizio car-sharing estremamente diffuso. Bologna, invece, vanta l’importante primato di città con più auto ibride circolanti, mentre Genova prepara a dovere il car sharing elettrico, con duecento colonnine entro il 2020. Procedendo verso il centro Italia, Roma risponde con un servizio green avviato, che comprende tram, metro e bus, e la promessa di raggiungere settecento colonnine di ricarica entro fine anno. Fanalino di coda il Sud, che vede Napoli positiva per il parcheggio per i mezzi con la spina e ibridi e per le agevolazioni sulla zona a traffico limitato, e Palermo che conta solo sedici punti di ricarica e il car sharing destinato a raggiungere le 80 unità entro l’anno prossimo.



sabato 23 marzo 2019

È ora di ridurre le emissioni di gas serra!

Qualcosa su muove in vista del nuovo incontro sul clima indetto dalle Nazioni Unite a New York nel settembre 2019. 

Partiamo dal principio. Il Parlamento Europeo, il 14 marzo, ha approvato una risoluzione nella quale sancisce la necessità di un impegno maggiore, da parte dell'Unione europea, nella riduzione dei gas serra al 55% rispetto alle emissioni del 1990. Attualmente la soglia è al 40%.

L'IPCC e dell'UNEP condividono la necessità di pervenire ad emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050, affinché esista una possibilità di conservare l’aumento globale della temperatura al di sotto dei 2°C (valore stabilito dall'Accordo di Parigi).
Perciò la Commissione Europea ha deciso di pubblicare il rapporto “Un pianeta pulito per tutti - Visione strategica a lungo termine per un'economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra”, attraverso la quale ha rinforzato l'obiettivo “quota zero”, a maggior ragione in vista del vertice europeo di maggio a Sibiu. Questo primo obiettivo è propedeutico alla mitigazione del cambiamento climatico, come già detto, per non rischiare ulteriori danni all’ambiente. Seguendo gli impegni finora presi, secondo una stima delle Nazioni Unite, non si riuscirebbe a mantenere il limite di 2°C stabilito a Parigi, ma si rischierebbe un aumento fino a 3,2°C circa. Inoltre, sempre dati alla mano (resoconto della Commissione), il Pil europeo troverebbe terreno fertile in uno scenario ad emissioni di gas serra pari a zero, piuttosto che in una situazione di riduzione minima. Ma non solo. La dipendenza dell'Europa dalle importazioni energetiche scenderebbe dal 55% al 20%, con un evidente risparmio. Senza contare che, in una società ad emissioni zero, correremmo rischi minori in quanto a salute e sicurezza.
In ultimo, è evidente che anche l’Italia debba tener conto di queste stime per partecipare ad un cambiamento di rotta. Meglio agire ora che avere rimpianti.


venerdì 22 marzo 2019

Ben 7 millennials su 10 riciclano

L’analisi Uecoop: tutelare l’ambiente e incoraggiare la sostenibilità.

L’Unione Europea delle cooperative (Uecoop) ha realizzato un’analisi dalla quale emerge un dato importante e da tenere in considerazione: ben 7 millennials su 10, in Italia, riciclano oggetti usati per tutelare l’ambiente e incoraggiare la sostenibilità. I dati “Second hand economy”, legati a doppio filo con la giornata mondiale del riciclo, evidenziano l’importanza dell’approccio di noi giovani ai problemi ambientali. Quanto emerge è la riprova di un atteggiamento responsabile che coinvolge specialmente la generazione nata negli anni Ottanta e Novanta, fino ad arrivare ai nati del nuovo Millennio, recentemente scesi in piazza per il “Global strike for future”.

È necessario comprendere che il riciclo non è solo “la gestione separata dei rifiuti” o “la raccolta differenziata”, ma riguarda anche la nuova vita degli oggetti. Mobili, elettrodomestici, libri, giornali, piatti, bicchieri, vestiti, scarpe: tutto può rinascere. A questo proposito, Uecoop ha realizzato uno studio, nel quale evidenzia che le attività che si occupano della gestione dell’usato nel belpaese sono aumentate di oltre il 7% nell’ultimo lustro. I centri urbani più interessati dal fenomeno del “riuso” sono diversi, tra i quali svetta la capitale, Roma, con 450 attività, seguita a ruota da Milano con 398 e Torino con 282. A seguire rientrano anche Napoli con 245, Firenze con 227, Genova con 195, Brescia con 105, Arezzo con 92, Bari con 90 e Bologna con 83.
“È stato creato un vero e proprio mercato parallelo a quello del nuovo” sottolinea Uecoop, anche se non si tratta solo di piccoli “tesoretti” o cianfrusaglie. Infatti, grazie a questo nuovo “mercato”, sono sorte diverse cooperative che valorizzano i materiali di scarto industriali, quali ad esempio i pallet di legno, dando loro vita nuova e trasformandoli in mobili e sedie. Le stime rilevate sanciscono che il mercato dell’usato vale quasi 21 miliardi di euro e che quasi un italiano su cinque è partecipe di questo fenomeno, spesso per integrare il reddito domestico.

giovedì 21 marzo 2019

2017: secondo anno più secco dopo il 2001

Nello stesso anno ci sono state circa 170 frane. Resta alta la minaccia alla biodiversità.

Clima, biodiversità, qualità delle acque interne, inquinamento atmosferico, mare e ambiente costiero, rifiuti, agenti fisici e suolo: ecco alcune importantissime tematiche trattate durante l’edizione 2018 dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA, la pubblicazione scientifica realizzata di concerto con il SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente). 


Iniziamo a commentare il notevole resoconto partendo dal clima. La particolarità ragguardevole del clima (2017) in Italia è stata (purtroppo) la siccità: infatti a causa di questo dato, il 2017 occupa il secondo posto tra gli anni più secchi, appena dopo il 2001, in una classifica che inizia dal 1961. La precipitazione cumulata media al di sotto della norma è stata del 22% circa e la temperatura media è salita di +1,30 °C. Invece, le emissioni totali di gas serra sono diminuite del 17,5% tra il 1990 e il 2016. Per quanto riguarda la biodiversità, invece, bisogna tener conto che la fauna italiana vanta oltre 60.000 entità e la flora 8.195 entità di piante vascolari e 3.873 entità non vascolari. Confrontando i nostri dati con quelli europei, risulta che insetti e ortotteri (cavallette e grilli), sono il triplo di quelli della Polonia, dieci volte quelli della Norvegia e Gran Bretagna e oltre centocinquanta volte quelli dell’Islanda. Nonostante ciò, il livello di minaccia è elevato, considerando che centoventi specie di vertebrati terrestri sono minacciate per la degradazione e perdita di habitat. In particolare, corrono maggiori rischi gli anfibi (36%) e i pesci ossei d’acqua dolce (48%). Muovendo verso l’analisi delle qualità delle acque interne, quindi fiumi e laghi, è possibile notare che il 75% (su 7.493 fiumi) raggiunge l'obiettivo di qualità per lo stato chimico e il 43% l’obiettivo di qualità per lo stato ecologico; su 347 laghi, il 48% raggiunge l'obiettivo di qualità per lo stato chimico e il 20% raggiunge l’obiettivo di qualità per lo stato ecologico. Approfondiamo la questione. Per quanto concerne i fiumi, uno stato ecologico buono è riscontrabile nella Provincia di Bolzano (94%), in Valle d’Aosta (88%), nella Provincia di Trento (86%) e in Liguria (75%); uno stato chimico buono è riscontrabile nei fiumi del Molise, Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e le province autonome di Trento e Bolzano. Per quanto riguarda i laghi, invece, uno stato ecologico buono è individuabile in Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano (89%) ed Emilia-Romagna (60%); uno stato chimico buono è individuabile (100%) in Valle d'Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Abruzzo, Molise e nella Provincia di Bolzano. Procediamo nell’analisi del mare. L’89% circa delle acque costiere di balneazione riporta un risultato notevole, eccellendo per fattori igienico sanitari. La migliore performance tocca alla Sardegna, nella quale il 90% delle acque costiere presenta uno stato chimico “buono”. Analizzando i problemi legati al rischio idrogeologico, risulta che le frane principali nel 2017 sono state 172: hanno causato complessivamente cinque vittime, trentun feriti, danni alla rete stradale e sono avvenute nelle regioni Abruzzo, Campania, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Marche. Inoltre, oltre 6 milioni di abitanti sono residenti in aree a pericolosità idraulica media e 1,2 milioni di abitanti vivono in zone a rischio frane. In relazione al rischio sismico, invece, quattro eventi hanno raggiunto e oltrepassato Magnitudo 5, sedici terremoti hanno avuto Magnitudo pari o superiore a 4 e nessun evento sismico ha raggiunto Magnitudo 6. Per quanto riguarda gli agenti chimici, l'Italia ne è il terzo produttore in Europa, dopo Germania e Francia e il decimo nel mondo. Le imprese chimiche nel nostro paese sono 2.800 e occupano circa 108.000 addetti altamente qualificati, e l'uso dei prodotti chimici interessa tutti i settori produttivi. In ultimo, è necessario un accenno alle emissioni in agricoltura e alle aziende bio. Le emissioni di ammoniaca (NH3) nell’atmosfera, prodotte dal settore agricolo, provengono soprattutto dall’ampio utilizzo di fertilizzanti, dalle attività intensive praticate e dalla gestione degli allevamenti. Al 2016, ad esempio, l’agricoltura era responsabile dell’emissione in atmosfera di 358,47 kt di ammoniaca, cioè il 93,8% del totale nazionale. Buoni risultati per l’agricoltura biologica che, dal 1990, è in crescita e interessa il 15,4% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) nazionale (il 5,8% delle aziende agricole).  Nel 2017 le superfici convertite e quelle in via di conversione bio ammontavano a 1.908.653 ettari (+6,3% rispetto al 2016). Le regioni più rappresentative, in questo senso, Sicilia, Puglia, Calabria (insieme il 46%).


mercoledì 20 marzo 2019

Acqua per tutti: ancora un miraggio

Malgrado i passi avanti indicativi compiuti negli ultimi quindici anni, l'accessibilità all'acqua potabile pulita è un obiettivo inarrivabile per buona parte della popolazione mondiale.


Quasi quattro anni fa, nel 2015, tre persone su dieci (poco più di due miliardi) non avevano accesso all’acqua potabile e sicura, mentre sei persone su dieci (quattro miliardi e mezzo) non usufruivano di servizi igienici protetti. Questi dati sconcertanti provengono dall’ultimo resoconto dell’Unesco, denominato “Nessuno sia lasciato indietro”, riguardante lo sviluppo idrico globale, pubblicato per la Giornata mondiale dell’acqua (22 marzo). Inoltre, a causa di svariati disastri naturali, 25,3 milioni di persone all’anno sono obbligate a migrare.

Il ragguaglio, discusso a Ginevra, evidenzia i territori maggiormente colpiti dalla scarsità di acqua potabile, individuando nel continente africano il luogo che soffre di più questo fenomeno. Metà degli abitanti beve acqua da fonti non sicure. In particolare, è presumibile che siano i discriminati per stato economico, genere ed età ad avere accesso limitato all'acqua e ai servizi igienici basilari.

L’Ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel settembre 2007, sosteneva che “è ormai tempo di considerare l'accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all'accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico - per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa - allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute”. Inoltre, considerando che la successiva risoluzione ONU del 28 luglio 2010, anche se non vincolante, dichiarava per la prima volta nella storia il diritto all'acqua “un diritto umano universale e fondamentale”, sarebbe necessario un intervento congiunto da parte degli stati nazionali, dimodoché vengano adottati gli strumenti idonei per assicurare quantità sufficiente di acqua di buona qualità, economicamente accessibile a tutti e non troppo distante dalla propria abitazione.

martedì 19 marzo 2019

WWF lancia il banco interattivo del pesce

La parola d’ordine è “diventare consumatori responsabili”.

L'Italia, nella classifica per consumo di pesce, arriva all'ottavo posto. Perciò, alla sedicesima edizione di “Fa' la cosa giusta”, la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, il WWF propone un banco digitale grazie al quale è possibile simulare una situazione di acquisto. L’obiettivo? Diventare consumatori consapevoli, questo è ciò a cui punta l’associazione. Ma partiamo dal principio.

Come già ho evidenziato, l’Italia è l’ottavo consumatore di pesce a livello europeo, con quasi 30 chilogrammi di persona ogni anno (29,8 per la precisione), di cui il 60% circa è d’importazione. In questa situazione non brillante nasce l’idea del WWF. Lo schermo touch, ideato dall’associazione ambientalista, fornisce risposte idonee per realizzare consumi responsabili, quali conoscere gli obblighi europei di etichetta (nome della specie, luogo di pesca, metodo, fresco o surgelato, d'allevamento o di cattura, scadenza), puntare sul pescato locale, scegliere secondo “stagionalità”, conoscere le taglie minime al di sotto delle quali non è consentito vendere o acquistare pescato, e tante altre nozioni basilari che è utilissimo conoscere. Perciò apprendere risulta estremamente semplice: basta cliccare sullo schermo e aspettare la domanda.

Sara Savelli, Sea Food Communication Officer di WWF Italia, si rivela soddisfatta di questo strumento, che definisce come “un percorso che conduce fino allo schermo interattivo dove si simula una situazione di acquisto al supermercato”. In questo modo, ci si trova nel luogo in cui “i consumatori hanno potere”. Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito pescesostenibile.wwf.it

lunedì 18 marzo 2019

L’estrazione di risorse è triplicata dal 1970 ad oggi

L'estrazione di risorse è triplicata dagli anni ‘70 (da 27 miliardi a 92 miliardi di tonnellate), con un aumento di quasi cinque volte dell'impiego di minerali non metallici e un incremento del 45% nell'utilizzo di combustibili fossili.

La situazione non è buona e potrebbe peggiorare sensibilmente negli anni a venire. Secondo alcuni approfondimenti, tra quarant’anni circa (entro il 2060), l’utilizzo mondiale di materia potrebbe raddoppiare, da 92 miliardi di tonnellate (oggi) a quasi 190 miliardi di tonnellate. Invece, le emissioni di gas serra potrebbero aumentare fino al 43% circa. Ma qual è la correlazione tra i due fenomeni? Vi è qualche nesso tra l’aumento dell’utilizzo dei combustibili e l’estrazione di materiali con l’incremento delle emissioni globali di gas serra? Sì, queste attività partecipano per metà delle emissioni totali di gas serra e per oltre il 90% alla scomparsa della biodiversità.
Tutte queste informazioni sono riportate nel Global Resources Outlook 2019, realizzato dall’International Resource Panel, che si occupa dell’impiego delle risorse naturali e dei modelli di consumo. L’obiettivo? Responsabilizzare i politici per far sì che vengano prese decisioni “sostenibili”. 
Secondo quanto evidenziato nel resoconto testé citato, "la rapida crescita dell'estrazione di materiali è il principale responsabile dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità”, elemento che avvalora la tesi sopracitata. Inoltre, al 2010 i cambiamenti nell'utilizzo del suolo hanno prodotto la scomparsa di specie globali di circa l'11%. Joyce Msuya, direttore esecutivo di Un Environment, afferma che "stiamo scavando attraverso le risorse limitate di questo Pianeta come se non ci fosse un domani, causando cambiamenti climatici e perdita di biodiversità lungo il percorso, non ci sarà un domani per molti di noi a meno che non ci fermiamo". Ad esempio, gli Stati più facoltosi necessitano di 9,8 tonnellate di materiali a persona e, scendendo nel particolare, l'uso di minerali metalliferi è cresciuto del 2,7% all'anno: di conseguenza, le ricadute sulla salute umana e sul cambiamento climatico sono raddoppiate durante il periodo 2000-2015. L'utilizzo di combustibili fossili, da 6 miliardi di tonnellate nel 1970, ha raggiunto 15 miliardi di tonnellate nel 2017. La biomassa, invece, da 9 miliardi di tonnellate a 24 miliardi di tonnellate.

Cifre spropositate, numeri spaventosi, dati non confortanti emergono da questi studi. Non è ancora troppo tardi per invertire la rotta, favorendo l’utilizzo di risorse rinnovabili.

domenica 17 marzo 2019

Provvedimenti indifferibili per fermare il degrado del pianeta


La salute delle persone è sempre più in pericolo, considerata l’avanzata minacciosa del degrado ambientale. Difficile raggiungere i Sustainable Development Goals in tempi medio-brevi.


Il Global Environment Outlook, un’analisi accurata circa le condizioni ambientali realizzata e pubblicata dall’ONU in occasione della quarta assemblea Ambientale delle Nazioni Unite in corso a Nairobi, è stata denominata “Healthy Planet, Healthy People”, a mo’ di “memento” per rendere più evidente il nesso funzionale che lega salute umana e salute ambientale. Questo resoconto, opera di oltre duecento esperti provenienti da moltissimi paesi diversi, sostiene che a causa degli inquinanti rintracciabili nei nostri sistemi di acqua dolce, la resistenza anti-microbica potrebbe diventare una delle principali cause di morte entro il 2050; inoltre, il rapporto sottolinea la necessità di numerosi interventi per rinvigorire le misure di protezione ambientale, al fine di salvaguardare specialmente regioni e città mediorientali, africane e asiatiche che rischiano di aumentare il tasso di mortalità entro il 2050.

A ben vedere, il rapporto rimarca che la comunità internazionale ha le conoscenze sufficienti per imboccare un percorso di sviluppo sostenibile, nonostante sia assente l’intenzione “politica” di virare verso questi modelli di sviluppo. Infatti, se i paesi del mondo investissero il 2% del PIL in investimenti verdi, potrebbero garantire una crescita sostenuta a lungo termine. Quali sono i consigli dell’Unep? Due su tutti, ridurre gli sprechi alimentari e adottare diete a basso contenuto di carne. Ma è necessario anche pianificare l’utilizzo del territorio e la realizzazione di infrastrutture verdi, incrementare l’utilizzo di energie rinnovabili e diminuire il consumo di plastica. Insomma, migliorare la cosiddetta “governance”. Ma gli interventi politici, concernenti interi, potrebbero ammontare a 54 trilioni di dollari.

Joyeeta Gupta e Paul Ekins, presidenti del processo GEO-6, hanno affermato che “il rapporto mostra che esistono le politiche e le tecnologie per creare nuovi percorsi di sviluppo che evitino questi rischi e portino salute e prosperità, ma ciò che manca attualmente è la volontà politica di implementare politiche e tecnologie a una velocità e livello sufficienti.” Ci auguriamo che i politici possano acquisire consapevolezza nel più breve tempo possibile.

sabato 16 marzo 2019

L’impegno delle città nella riconversione circolare del cibo


Il rapporto “Cities and circular economy for food” della Ellen McArthur Foundation evidenzia che entro il 2050 ben l’80% del cibo prodotto nel mondo sarà consumato nelle città. Ciò significa che le città svolgeranno un ruolo importantissimo nella possibile transizione verso un sistema innovativo di produzione del cibo, che sia capace di produrre cibi sani senza annientare l’ambiente. Secondo questa ricerca, i centri urbani dovranno recuperare i sottoprodotti e gli scarti, diminuire gli sprechi e commercializzare alimenti più sani. Questi accorgimenti potrebbero produrre benefici per oltre 2,7 trilioni di dollari all’anno.

Approfondiamo la questione. Le aree urbane riuscirebbero ad influenzare particolarmente i sistemi di coltivazione e di produzione, in virtù del consumo alimentare notevole. In questo modo, i consumatori “plasmerebbero” i produttori, inducendoli alla ricerca di nuovi approcci nei confronti della terra, che vadano oltre l’utilizzo di fertilizzanti inquinanti, per favorire fertilizzanti organici e promuovere la biodiversità. Questo nuovo approccio potrebbe favorire anche le colture locali e il commercio su scala ridotta, dando uno slancio maggiore all’economia locale. E in ultimo, le città stesse, veri centri del consumo alimentare, potrebbero trasformare gli scarti per produrre biomateriali innovativi



E i benefici? Il rapporto “Cities and circular economy for food” elenca e calcola i benefici: la riduzione delle emissioni serra collegata all’abbreviamento delle catene alimentari condurrebbe ad un risparmio di 4,3 miliardi di tonnellate di CO2; l’attuazione di attività agricole rigenerative diminuirebbe i costi sanitari di 550 miliardi di dollari; per mezzo dell’utilizzo di sottoprodotti alimentari e grazie alla riduzione degli sprechi si risparmierebbero 700 miliardi dollari l’anno. Oggi, di contro, per ogni dollaro speso per un alimento, la società ne paga il doppio.


venerdì 15 marzo 2019

Case a un euro per ripopolare i piccoli Comuni!

La ricetta per ridare slancio ai centri cittadini colpiti dal triste esodo.


I piccoli Comuni, luoghi spesso immersi nella tranquillità e meno caotici delle grandi città, si stanno lentamente spopolando. Come fare per arrestare questa emorragia? Un’idea innovativa, che a primo acchito sembrerebbe bizzarra, è la realizzazione di progetti di vendita di case ad un euro. Avete capito bene, un euro. Una proposta studiata sia per il ripopolamento di piccoli centri che per il rilancio delle economie locali. Ma andiamo con ordine.

Dov’è possibile acquistare le case ad un euro? I piccoli centri urbani che rientrano in questa lista sono sparsi su tutto lo stivale: dal Piemonte alla Sicilia, dalla Calabria alla Sardegna. Ma come si acquista una casa? Per comprare una casa vi sono diversi meccanismi già attuati, quali, ad esempio, la vendita ad un euro oppure da una base d’asta di un euro. Inoltre, esistono dei requisiti alla base dell’acquisto, come l’obbligo di ripristinarle (quindi ristrutturarle) affidandosi alla manodopera locale. Ad ogni principio imposto dai Comuni corrisponde una graduatoria e gli immobili vengono consegnati ai richiedenti che conseguono il più elevato.

Per comprendere appieno il fenomeno è necessario analizzare quattro casi diversi. Il primo riguarda il comune di Tarsia, in provincia di Cosenza, che conta circa duemila anime. In questi giorni, con grande gioia da parte del sindaco Roberto Ameruso, è avvenuta la prima cessione volontaria di un immobile al comune: un primo passo avanti in questo lungo ma stimolante. Il sindaco afferma che “se anche solo una casa sarà recuperata, essa sarà un'abitazione in più che viene tolta all'abbandono e vissuta da chi avrà la volontà di fare i lavori”. Il progetto, illustrato dal primo cittadino, prevede, oltre all’acquisto alla “cifra simbolica”, l’obbligo “di ristrutturare la casa entro tre anni e magari abitarla”.

Attraversando lo Stretto e viaggiando un po’, giungiamo a Mussomeli, centro di dodicimila abitanti in provincia di Caltanissetta. Qui, le autorità locali son riuscite a far partire questo progetto nel 2017, dopo aver tentato già due anni prima. L’assessore ai Lavori Pubblici, Toti Nigrelli, afferma che le richieste sono almeno sessantamila e che sono stati venduti più di 100 immobili con atto notarile. Inoltre, il Comune ha sottoscritto una convenzione con un’agenzia immobiliare affinché accompagni gli interessati a visitare gli appartamenti. E la domanda sembra provenire in misura maggiore dall’estero considerando che solo due immobili sono stati acquistati da italiani, anche se ancora le case disponibili sono cinquecento. L’unico requisito è l’obbligo di terminare i lavori di ristrutturazione entro tre anni. Restando sempre in Sicilia ma camminando verso ovest giungiamo a Gangi, centro di poco più di seimila abitanti, in provincia di Palermo. L’amministrazione comunale ha coinvolto in particolare immobili fatiscenti o pericolanti del centro storico. Gli acquirenti dovranno affrontare, come anche negli altri paesi fin qui analizzati, le spese di ristrutturazione che, però, potrebbero anche essere finanziate per mezzo di incentivi statali o europei. Basta visitare il sito del Comune per avere maggiori informazioni.

Il nostro viaggio termina a Nulvi, cittadina di duemila abitanti in provincia di Sassari. Luigi Cuccureddu, intervistato da Business Insider, afferma che il progetto è stato avviato tre anni fa e che il Comune, per ridar nuova linfa al centro storico, ha dato inizio ad un lavoro certosino di ricerca per contattare i proprietari delle abitazioni fatiscenti. Cuccureddu spiega che “una volta appurata la disponibilità alla cessione, l’immobile viene messo in vetrina sul sito istituzionale di Nulvi e il Comune rimane un ente terzo tra i proprietari e i potenziali acquirenti”. Le richieste giunte finora sono state millecinquecento e gli immobili ceduti tre. Inoltre Nulvi ha preso parte ad un bando regionale, per il quale ha riscosso un milione e centocinquantamila euro di fondi pubblici per acquisire sette fabbricati da convertire in albergo diffuso per un totale di trentotto posti letto.

Quali ricadute positive? Mettere in vendita questi edifici trascurati ad un prezzo irrisorio, con il solo obbligo di ristrutturarlo entro un limite di tempo più o meno breve, può dar luogo alla riqualificazione di aree ormai abbandonate, riconsegnando vivacità e allegria a questi piccoli centri cittadini. Inoltre, cedere stabili in condizioni pessime è conveniente, poiché si evitano eventuali spese esose. In ultimo, l’interesse manifestato sovente da acquirenti stranieri può dare un impulso turistico maggiore i nostri borghi.

                                              alcuni dei comuni interessati

mercoledì 13 marzo 2019

Quanto consumano le famiglie?

L’Ufficio studi della CGIA segnala che, rispetto all’anno pre-crisi, le famiglie italiane spendono meno.


Nel 2007, anno pre-crisi, le spese mensili (acquisto beni alimentari e non, pagamento delle bollette, fruizione di servizi sanitari, alberghieri, di ristorazione, trasporti ecc.) medie delle famiglie erano pari a quasi 2700 euro (2.649); oggi la soglia è ferma a 2.564 euro, il 3% in meno rispetto al 2007 (in valore assoluto -85 euro). Ma il dato territoriale sconcerta ancor di più. Se al Nord (- 47 euro) e al Centro (-75 euro) le contrazioni censite si fermano al di sotto della media nazionale, al Sud la situazione è preoccupante: infatti, le uscite delle famiglie meridionali sono crollate di 170 euro(-7,7%; 2.212 euro nel 2007, scesa a 2.042 euro).

Ma quali sono le conseguenze del caso dei consumi? Gli effetti sono molteplici, purtroppo, e facilmente riconoscibili: infatti, sono le piccole attività artigianali e commerciali ad esserne uscite con le ossa rotte. Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi, sostiene che “le botteghe artigiane vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie, e sebbene negli ultimi anni i consumi siano tornati lentamente a salire, i benefici di questa ripresa hanno interessato quasi esclusivamente la grande distribuzione organizzata”. Insomma, niente di positivo per i piccoli commercianti. Infatti, il valore delle vendite al dettaglio nel settore artigianale e nelle piccole botteghe è crollato del 14,5%; di contro, è aumentato del 6,5% nel settore grandi distribuzioni. Ciò significa che le botteghe devono temere i grandi marchi, i centri commerciali, gli ipermercati, più dell’e-commerce, nonostante quest’ultimo abbia guadagnato posizioni. In queste condizioni sembra particolarmente arduo “fare impresa”, a meno che di un’operazione di alleggerimento fiscale.

In controtendenza rispetto quanto prospettato finora le spese per i servizi, aumentate del 6,9% rispetto al 2007. Prendendo ad esempio lo scorso anno, sia la vendita di beni che quella di servizi è aumentata, (rispetto al 2017) dello 0,7%. Nel 2018, le uniche performances negative riguardavano gli alimentari (-0,1%), la sanità (-0,6%) e le bevande alcoliche (-1,4%). In ultimo va segnalato che le manovre di finanza pubblica a carico delle Autonomie locali, tra il 2010 e il 2017, hanno provocato una contrazione delle risorse fruibili pari a 22 miliardi di euro, colpendo in misura maggiore i Comuni. Questa breve analisi sui consumi delle famiglie italiane deve essere paradigmatica, cosicché gli amministratori sappiano come e dove intervenire.

“Siamo sull’orlo di una crisi climatica globale”

Mattarella commenta i disastri ambientali.


“Deve essere chiaro che il rapporto con la natura è fatto di rispetto degli equilibri dell’ecosistema, pur se l’umanità ha dimostrato una costante propensione a misurarsi quotidianamente con i limiti conosciuti”. Questo è l’avvertimento evidenziato dal Presidente della Repubblica nel suo intervento a Belluno, durante la cerimonia commemorativa dell’alluvione che ha colpito il Veneto nell’ottobre 2018. Come dargli torto? L’uomo, infatti, spinto dalla fame di conoscenza e determinato a superare i suoi stessi limiti, rischia di non dare la giusta attenzione alle problematiche ambientali.

Ma andiamo con ordine. Il Capo dello Stato sottolinea che, nel nostro percorso verso il futuro “dobbiamo sempre coltivare insieme innovazione e saggezza antica”, punti salienti che devono andare di pari passo, in primis, con la “costruzione di una attenta regia e di solidarietà internazionali, per affrontare quei comportamenti che contribuiscono a cambiamenti climatici dalle gravi conseguenze”. Va da sé che tutti gli sforzi profusi nelle molteplici conferenze internazionali abbiano dato risultati sufficienti, ma non eccezionali: sarà necessario impegnarsi ancor di più. In secondo luogo, Mattarella aggiunge che “vanno respinte decisamente tentazioni dirette a riproporre soluzioni già ampiamente sperimentate in passato con esito negativo, talvolta premessa per futuri disastri”, affinché non si verifichino altre tragedie. Infatti, le “opere di contenimento, se non suffragate dall’apprendimento delle precedenti esperienze, talvolta ottengono risultati opposti a quelli prefissati, violando equilibri secolari da difendere”.

Un altro punto importante del discorso del Presidente riguarda “l’attivazione, in via preventiva, della rete di Protezione civile”, che “è la conferma di come il modello di collaborazione tra Regione, Prefetture, forze del volontariato, possa giocare un ruolo prezioso non solo nell'emergenza delle catastrofi una volta verificatesi” ma non solo. Questa proficua cooperazione deve essere incentrata, soprattutto, sul terreno della prevenzione.

In ultimo, "occorre proseguire sulla strada di iniziative per la salvaguardia degli assetti idro-geologici. Queste iniziative sono state ampiamente delineate dal Parlamento in questi decenni ed è necessario un impegno condiviso delle istituzioni ai vari livelli per svilupparli e attuarli concretamente.” Un chiaro invito ai Parlamentari per continuare l’azione finora svolta. Perciò, è necessaria “una politica per la montagna e le popolazioni che la abitano, non solo nella direzione della effettiva affermazione della eguaglianza tra cittadini della Repubblica, ma soprattutto per il recupero pieno di aree abbandonate o sottoutilizzate, preziose per il processo di crescita dell'intero nostro Paese.”

Il fulcro del discorso è abbastanza chiaro, ora sta alle istituzioni prendere in considerazione quanto affermato da Sergio Mattarella. Una valorizzazione attenta e mirata delle zone montane potrebbe riportare a nuova vita questi territori. 

  (Foto: Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

martedì 12 marzo 2019

Life without plastic, il nuovo “lifestyle”.


Il New York Times loda Jeff Bridges, uno dei paladini del “Life Without Plastic”, un nuovo stile di vita.


I cittadini di diversi paesi del mondo hanno preso coscienza, da qualche tempo, circa la gravità dell’utilizzo spropositato della plastica. Quindi, non solo i “vip” o gli esperti del settore si mobilitano per questa causa, ma è ormai sotto gli occhi di tutti questo fenomeno disastroso. Isole di rifiuti, oltre trecento milioni di tonnellate di plastica rovesciate ogni anno nelle discariche o nei corsi d’acqua, mammiferi e uccelli soffocati dai sacchetti di plastica e dai palloncini: tutto questo ha risvegliato orde di cittadini pronti a “combattere”.
Per fare un esempio, sia nella East che nella West Coast degli stati uniti, moltissime città hanno bandito i sacchetti di plastica dai supermercati, e anche in Europa sono state messe a punto delle contromisure utili.

Ma quali furono i primi negozi “plastic free”? Tra i primi va annoverato un negozio canadese (Wakefield Québec), che ben 13 anni fa decise di fregiarsi del titolo di “Life Without Plastic”. Inoltre, sempre a negli States, a New York per la precisione, esistono i negozi per "plasticofobi", che vendono i raccoglitori di feci canine in carta e le bottiglie del riuso in silicone. In più, i grandi marchi di bibite, come Pepsi, accarezzano l’idea di tornare alle bottiglie di vetro riciclabili. Ma non solo. In Italia è stata realizzata la campagna “#StopSingleUsePlastic”, lanciata in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente 2018, nella quale si chiedeva che venisse realizzato un provvedimento per vietare l’uso delle plastiche monouso in tutte le sedi delle istituzioni, subito accolto Ministero dell’Ambiente. La suddetta campagna, che ha riscosso un notevole successo, è servita altresì per sancire un importante impegno preso Ministro Costa: promulgare la legge Salvamare, nata anch’essa da un’iniziativa di Marevivo, che vieta la plastica monouso, anticipando la stessa Direttiva Europea. Ed è ancora il Belpaese a dimostrarsi sensibile a queste tematiche, attraverso la realizzazione delle “bottiglie del vuoto a buon rendere”, prodotte dalla birra sarda Ichnusa. In Sardegna, infatti, il vuoto resiste ancora e rappresenta una azione rinsaldata e virtuosa, e che Ichnusa da sempre impiega.

La birra continua a essere prodotta nei formati classici, ovvero 0,20, 0,33 e 0,66 cl, anche se per renderla più caratteristica è stato approntato il tappo verde, che riporta la dicitura "Vuoto a buon rendere. Ichnusa per la Sardegna". Perciò, partendo da questi modelli ben consolidati e validi, bisognerebbe fare della lotta alla plastica un baluardo nazionale. 


lunedì 11 marzo 2019

“Safefood”, il dispositivo portatile per controllare la qualità del cibo


Le cronache recenti hanno evidenziato come il fenomeno delle frodi alimentari sia piuttosto diffuso. Per questo motivo, Enea ha deciso di impegnarsi per combattere queste vere e proprie “truffe”, attraverso la realizzazione di Safefood”, un dispositivo laser portatile per uno screening affidabile e veloce della qualità del cibo che ogni giorno ingeriamo.  Nell’ambito del progetto “Techea”, per il quale Enea ha assegnato un milione di euro, nei laboratori si lavora a due diversi prototipi, di cui uno rivolto ai controlli di qualità nell’industria alimentare, e un altro destinato alle attività ispettive dei vari organi di controllo.
Ma come funzionano questi strumenti? Questi dispositivi si basano su una tecnologia laser (spettroscopia laser fotoacustica) che utilizza suono e luce per riscontrare eventuali sostanze nocive, che l’etichetta non riporta. In soldoni, si “scarica” un fascio laser a infrarosso sul campione e, una volta riscaldato, quest’ultimo si espande e genera un’onda di pressione, che viene udita come suono per mezzo di un microfono. Da un lato, quello indirizzato all’industria alimentare è stato pensato quale elemento integrante del processo industriale, dall’altro, il dispositivo desinato alle attività ispettive si presenta alquanto maneggevole, di facile utilizzo e grande all’incirca quanto una ventiquattrore. In particolar modo, quest’ultimo strumento è una sorta di “laboratorio in scala”, nel quale è sufficiente inserire un esiguo campione alimentare per avere una risposta veloce e completa: questa caratteristica lo rende idoneo ai controlli rapidi nelle mense, nei supermercati, nelle botteghe o negli ospedali.                
Già testata su alimenti di grandi consumo quali latte in polvere, olio d’oliva, pesce e bibite varie, questa tecnologia ha ottenuto risultativi positivi: ad esempio, nelle bibite (analcoliche e succhi di frutta), il sistema consente l’identificazione di cinque dolcificanti non dichiarati in etichetta come glucosio, aspartame, fruttosio, saccarosio e maltosio; o nel latte in polvere permette la rilevazione di eventuale contaminazione da melammina, una sostanza usata per produrre la plastica che provoca enormi danni renali nei neonati; o ancora nel pesce, che sia inscatolato o fresco, lo strumento ha indicato la presenza di istamina, molecola tossica che si riscontra quando il pesce è stato pescato da molti giorni o conservato in maniera non idonea.                                                   
Una vera e propria rivoluzione nel campo del controllo alimentare, in grado di combattere gli espedienti più disparati messi in atto da coloro che non hanno a cuore la salute altrui. Luca Fiorani, responsabile del progetto TECHEA e del laboratorio ENEA “Diagnostiche e metrologia”, afferma che “attualmente non esistono in commercio strumenti con queste caratteristiche, infatti i controlli antifrode vengono fatti in laboratorio con analisi costose, lunghe e complesse che richiedono personale specializzato”. Possiamo dirci davvero soddisfatti di questo passo avanti. 


domenica 10 marzo 2019

Finalmente stop ai pesticidi!

Ecco il sì alla riduzione dell’utilizzo dei pesticidi per favorire il metodo biologico.


Approvata all’unanimità alla Camera, la mozione per la riduzione dell’utilizzo dei pesticidi rappresenta un notevole passo avanti. L’atto, che vincola significativamente il Governo, si propone di garantire efficacemente la tutela della salute umana (in ossequio all’articolo 32 della Costituzione) ma anche animale, favorendo così la protezione degli ecosistemi. Angelo Gentili, responsabile Agricoltura di Legambiente, esprime la sua gioia, dichiarando che questo provvedimento è di "importanza strategica, che favorisce con determinazione un modello agricolo ambientalmente sostenibile”.



Il quadro italiano, in merito all’utilizzo di pesticidi, non è stato mai particolarmente “positivo”: infatti, i dati dimostrano che il belpaese utilizza annualmente 130 mila tonnellate di pesticidi, contenenti ben 400 sostanze diverse. É ovvio che questi elementi non siano “tutta salute”, ma forieri di conseguenze negative, quali la contaminazione degli habitat, delle acque, del suolo e anche del cibo che ogni giorno consumiamo.

In particolare, come già chiesto da Legambiente e sottolineato da Gentili, il provvedimento riguarda il rischio connesso al multiresiduo, ovvero la possibilità, statuita per legge, che uno stesso prodotto agricolo contenga fino a 10-20 residui diversi di molecole pericolose di sintesi, che potrebbero dar luogo ad effetti sinergici negativi. Di conseguenza, il Governo si impegna per un controllo più minuzioso e approfondito delle acque, per un incremento dei controlli relativi ai fitofarmaci e al glifosato in particolare, e a rivedere il piano nazionale circa l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, al fine di ridurre l’impatto dei pesticidi sulla salute umana e sull’ambiente. Inoltre, è previsto l’obbligo di informare i residenti prima di ogni trattamento chimico e di rispettare le distanze di sicurezza per proteggere la salute dei cittadini minacciati dalle monoculture, ma è anche evidenziata la necessità di un’azione corale europea per la tutela delle api.


Queste decisioni sembrano rispecchiare un clima di maggiore attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, argomento assurto agli onori della cronaca in seguito alle numerose manifestazioni svoltesi in questi giorni. Finalmente, una serie di impegni particolarmente indicativi dà il via ad una “rivoluzione verde”, che valorizza l’agricoltura biologica, i prodotti più sani e il il made in Italy.

                                              foto tratta da laviadiuscita.net