venerdì 8 marzo 2019

Quali sono le condizioni dei servizi per la prima infanzia?

I dati evidenziano una situazione complessa. 

Per assicurare l’accesso ai servizi per la prima infanzia è necessario che esista un’offerta congrua di posti in asilo nido sul territorio preso in analisi e che il servizio sia accessibile, in termini di costi, per le famiglie. Nel 2013, la Commissione europea ha redatto una lista di criteri da osservare per contrastare la povertà minorile (“Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale”) quali importanti investimenti sui bambini e le famiglie, contemperando politiche universali e specifiche, oppure una maggiore attenzione alle pari opportunità educative, per scongiurare rischi di ulteriori disuguaglianze. Senza un’attuazione concreta, però, questi enunciati restano tali. A ben vedere, uno degli ostacoli più difficili da superare è il costo della tariffa, peso economico non indifferente: perciò, sarebbe auspicabile la possibilità di un accesso a costi più “sostenibili”.

Come evidenziato da Openpolis, da cui traggo spunti di riflessione per l’argomento, il primo punto della questione è rappresentato dalla gestione comunale dei servizi per la prima infanzia. Un’opzione sarebbe quella di “costruire e mantenere asili nido e servizi per la prima infanzia comunali, gestendoli direttamente con dipendenti dell’ente”: con questa modalità sarebbero accolti più della metà degli utenti di nidi e servizi offerti dai comuni (102mila bambini circa nel 2015). In alternativa, lo studio propone che gli asili nido di proprietà comunale, mantenendo la tariffa del comune, possano essere anche appaltati in gestione a terzi (come operatori del privato sociale): questa modalità accoglierebbe quasi 50mila bambini. La terza opzione sarebbe stipulare una convenzione con un nido privato, per garantire una riserva di posti da offrire ai canoni stabiliti dal comune, attirando 25mila utenti. L'ultima possibilità sarebbe offrire contributi direttamente alle famiglie, da spendere in servizi privati o pubblici (anche qualche partito aveva teorizzato una linea del genere), attirando 14mila utenti. I servizi comunali vengono assicurati a quasi 200mila utenti, cioè il 12,6% della popolazione di riferimento (0-2 anni) e la spesa totale (2015) è stata di 1,48 miliardi di euro (l'80% a carico del comune e il 20% a carico delle famiglie come compartecipazione). In Italia la spesa media dei comuni in servizi di prima infanzia per ogni abitante tra 0 e 2 anni è pari a 787 euro e la quota compartecipazione delle famiglie è pari al 19,4%.

Il secondo problema della questione riguarda la differenza territoriale. In particolare, duole ricordare che sussiste un’evidente disparità tra Nord e Sud. Nel centro-nord, infatti, nonostante la quota di compartecipazione a carico delle famiglie sia più elevata, i comuni investono più risorse nell’erogazione di detti servizi. Le Regioni di quest’area che realizzano una spesa maggiore sono Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Emilia-Romagna e Lazio e le province nelle quali i comuni hanno speso mediamente di più sono Aosta, Bologna, Trieste, Trento, Roma, Ferrara, Firenze, Ravenna, Parma e Modena. Nel meridione, invece, nonostante la quota di compartecipazione sia meno elevata, il servizio erogato ai cittadini è meno finanziato. Le Regioni interessate, in quest’area, sono Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, e le province nelle quali i comuni presentano una spesa più bassa sono Caserta, Vibo Valentia, Crotone, Reggio Calabria, Cosenza e Catanzaro (Sfortunatamente, tutte e cinque le province calabresi).

Cosa fare di fronte a questa situazione problematica? L’unica speranza sarebbe una presa di coscienza da parte degli amministratori, che dovrebbero prendere esempio dalle realtà virtuose per esportare quei “modelli” nei territori che presentano maggiori difficoltà. Non è possibile che ancora oggi esistano bambini “di serie A”, che possono permettersi tali servizi, e bambini “di serie B”.
                                      foto tratta da secondowelfare.it

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