giovedì 21 marzo 2019

2017: secondo anno più secco dopo il 2001

Nello stesso anno ci sono state circa 170 frane. Resta alta la minaccia alla biodiversità.

Clima, biodiversità, qualità delle acque interne, inquinamento atmosferico, mare e ambiente costiero, rifiuti, agenti fisici e suolo: ecco alcune importantissime tematiche trattate durante l’edizione 2018 dell’Annuario dei dati ambientali ISPRA, la pubblicazione scientifica realizzata di concerto con il SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente). 


Iniziamo a commentare il notevole resoconto partendo dal clima. La particolarità ragguardevole del clima (2017) in Italia è stata (purtroppo) la siccità: infatti a causa di questo dato, il 2017 occupa il secondo posto tra gli anni più secchi, appena dopo il 2001, in una classifica che inizia dal 1961. La precipitazione cumulata media al di sotto della norma è stata del 22% circa e la temperatura media è salita di +1,30 °C. Invece, le emissioni totali di gas serra sono diminuite del 17,5% tra il 1990 e il 2016. Per quanto riguarda la biodiversità, invece, bisogna tener conto che la fauna italiana vanta oltre 60.000 entità e la flora 8.195 entità di piante vascolari e 3.873 entità non vascolari. Confrontando i nostri dati con quelli europei, risulta che insetti e ortotteri (cavallette e grilli), sono il triplo di quelli della Polonia, dieci volte quelli della Norvegia e Gran Bretagna e oltre centocinquanta volte quelli dell’Islanda. Nonostante ciò, il livello di minaccia è elevato, considerando che centoventi specie di vertebrati terrestri sono minacciate per la degradazione e perdita di habitat. In particolare, corrono maggiori rischi gli anfibi (36%) e i pesci ossei d’acqua dolce (48%). Muovendo verso l’analisi delle qualità delle acque interne, quindi fiumi e laghi, è possibile notare che il 75% (su 7.493 fiumi) raggiunge l'obiettivo di qualità per lo stato chimico e il 43% l’obiettivo di qualità per lo stato ecologico; su 347 laghi, il 48% raggiunge l'obiettivo di qualità per lo stato chimico e il 20% raggiunge l’obiettivo di qualità per lo stato ecologico. Approfondiamo la questione. Per quanto concerne i fiumi, uno stato ecologico buono è riscontrabile nella Provincia di Bolzano (94%), in Valle d’Aosta (88%), nella Provincia di Trento (86%) e in Liguria (75%); uno stato chimico buono è riscontrabile nei fiumi del Molise, Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e le province autonome di Trento e Bolzano. Per quanto riguarda i laghi, invece, uno stato ecologico buono è individuabile in Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano (89%) ed Emilia-Romagna (60%); uno stato chimico buono è individuabile (100%) in Valle d'Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Abruzzo, Molise e nella Provincia di Bolzano. Procediamo nell’analisi del mare. L’89% circa delle acque costiere di balneazione riporta un risultato notevole, eccellendo per fattori igienico sanitari. La migliore performance tocca alla Sardegna, nella quale il 90% delle acque costiere presenta uno stato chimico “buono”. Analizzando i problemi legati al rischio idrogeologico, risulta che le frane principali nel 2017 sono state 172: hanno causato complessivamente cinque vittime, trentun feriti, danni alla rete stradale e sono avvenute nelle regioni Abruzzo, Campania, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Marche. Inoltre, oltre 6 milioni di abitanti sono residenti in aree a pericolosità idraulica media e 1,2 milioni di abitanti vivono in zone a rischio frane. In relazione al rischio sismico, invece, quattro eventi hanno raggiunto e oltrepassato Magnitudo 5, sedici terremoti hanno avuto Magnitudo pari o superiore a 4 e nessun evento sismico ha raggiunto Magnitudo 6. Per quanto riguarda gli agenti chimici, l'Italia ne è il terzo produttore in Europa, dopo Germania e Francia e il decimo nel mondo. Le imprese chimiche nel nostro paese sono 2.800 e occupano circa 108.000 addetti altamente qualificati, e l'uso dei prodotti chimici interessa tutti i settori produttivi. In ultimo, è necessario un accenno alle emissioni in agricoltura e alle aziende bio. Le emissioni di ammoniaca (NH3) nell’atmosfera, prodotte dal settore agricolo, provengono soprattutto dall’ampio utilizzo di fertilizzanti, dalle attività intensive praticate e dalla gestione degli allevamenti. Al 2016, ad esempio, l’agricoltura era responsabile dell’emissione in atmosfera di 358,47 kt di ammoniaca, cioè il 93,8% del totale nazionale. Buoni risultati per l’agricoltura biologica che, dal 1990, è in crescita e interessa il 15,4% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) nazionale (il 5,8% delle aziende agricole).  Nel 2017 le superfici convertite e quelle in via di conversione bio ammontavano a 1.908.653 ettari (+6,3% rispetto al 2016). Le regioni più rappresentative, in questo senso, Sicilia, Puglia, Calabria (insieme il 46%).


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